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domenica 11 luglio 2010

Iron Age - Sardinian history - Le città fenicie in Sardegna - Villasimius


Le città sarde
Le città della civiltà mediterranea sono soprattutto costiere, Cagliari, Nora, Sulci, Bithia, Othoca, Tharros, Olbia. Raramente si trovano insediamenti importanti nell’entroterra, solo in età punica si diffondono anche all’interno. I mediterranei hanno poco interesse ad occupare i territori lontani dal mare. Fanno eccezione alcuni siti individuati negli anni Sessanta da Barreca che ha proposto una teoria secondo la quale le città costiere, come ad esempio Sulci, abbiano fondato degli avamposti militari cinti da mura con lo scopo di proteggere le città dagli indigeni. Monte Sirai e Pani Loriga (Santadi) sono due di questi centri, ma questa ipotesi è stata recentemente scartata perché attualmente si pensa che i rapporti fra levantini e indigeni fossero pacifici.


Villasimius

Uno dei primi luoghi sardi interessati dalla presenza levantina è Cuccureddu di Villasimius, ubicato presso il Capo Carbonara. Gli scavi hanno portato alla luce una struttura che si trova sulla sommità di una delle tre colline che si affacciano sulla costa di Villasimius. Alla base delle colline ci sono tracce di insediamento tardo punico del IV-III a.C. Alle pendici del colle ci sono alcuni muri, forse difensivi (mai scavati) e due scalinate che conducono alla sommità. Nella struttura principale dell’edificio sono stati svuotati 5 ambienti arcaici che si sono conservati perché erano stati ricoperti di terra in età romano-repubblicana per costruire un tempio in mattoni crudi, poi crollato sigillando tutto. Sono 4 piccoli ambienti contigui e uno sfalsato, delimitati da muri rettilinei, intonacati con argilla, con alla base uno zoccolo in pietrame squadrato e cementato con malta di fango. L’alzato in mattoni crudi si è sciolto con le intemperie e ha riempito gli ambienti. I pavimenti sono in terra battuta e le coperture sono in travi lignee ricoperte da canne e rivestite in argilla cruda pressata che si è cotta durante un incendio. Tutti i materiali sono esposti al museo di Villasimius. La frequentazione è dal 650 a.C. al 540 a.C. anno della distruzione della struttura, non più reinsediata fino al II a.C.
Il sito è stato interpretato come tempio dedicato ad Astarte perché nei vani ci sono molti unguentari e portaprofumi, del tipo di quelli utilizzati nei templi dove si svolgeva la prostituzione sacra, un’attività che riconduce a questa Dea cipriota. Nel mito di fondazione di Cartagine abbiamo scritto della leggendaria Elissa che a Cipro imbarcò le sacerdotesse per portarle a Cartagine. C’è anche un procione configurato a “fallo”, esposto al museo di Villasimius. Vicino all’edificio ci sarebbero state le abitazioni dei sacerdoti ma non vi sono tracce visibili. Altra testimonianza sulla sacralità del luogo sarebbe offerta da alcune cretule in terracotta, bruciate anch’esse nell’incendio, che denoterebbero la presenza di documenti. Bartoloni e altri studiosi ipotizzano che l’incendio sarebbe stato provocato da Cartagine che da quella data cercò in tutti i modi di conquistare l’isola sbarcando in armi, così come in Sicilia. Cuccureddu era forse un fondaco, un punto d’incontro fra gli indigeni e le genti che arrivavano per mare, e il tempio sarebbe stato fondato per garantire gli scambi. Un porto franco dove la divinità garantiva i commerci e le transazioni.
Nel II a.C. al di sopra di questo sito fu edificato, in piena età repubblicana, un altro tempio che ha restituito molti materiali ceramici. Era dedicato alla divinità femminile Era-Giunone (Astarte per i classici) e venne ristrutturato da Caracalla e rimasto in uso fino al IV d.C.

Nell'immagine: Neapolis, nel Golfo di Oristano

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