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martedì 26 febbraio 2013

Sacrifici propiziatori di bovini in Libia

Sacrifici propiziatori di bovini in Libia

Archeologi della Sapienza in Libia datano reperti con le raffigurazioni dei bovini scarificati nei riti propiziatori
Affondano nella preistoria neolitica sahariana alcuni antichi rituali, ancora oggi in uso in molte popolazioni pastorali africane. Lo scenario è l'altopiano del Messak in Libia sud-occidentale e i ricercatori che ne danno notizia sulla rivista Plos One sono gli archeologi della Missione della Sapienza, diretta da Savino di Lernia. Le attività di scavo hanno permesso di individuare nell'area decine di monumenti in pietra di forma circolare, spesso decorati con graffiti di bovini domestici. Lo scavo di queste strutture ha dimostrato come esse contenessero i resti delle carcasse di buoi e la successiva analisi archeo-zoologica ha evidenziato come gli animali venissero sacrificati con asce in pietra, macellati e distribuiti alle persone: i resti di pasto, perlopiù ossa fratturate, venivano poi bruciati ritualmente fino alla totale calcinazione. Il sacrificio del bue tra le popolazioni pastorali sahariane è stato faticosamente ricostruito grazie a diversi anni di lavoro sul terreno in Libia ed a quattro anni di analisi di laboratorio e viene confermato quanto visibile nelle gallerie di arte rupestre del Messak: qui, i graffiti di tori uccisi, rappresentati rovesciati con persone intorno intente a macellarli, sono un'autentica 'fotografia' di un rituale antichissimo, che si espanderà in grande parte dell'Africa settentrionale.
Lo studio condotto dall'equipe internazionale, guidata dal team della Sapienza, è il primo a fornire un'evidenza tangibile di questo rito nella sua interezza, grazie alla compresenza dei tre elementi: graffiti, tracce organiche e monumenti neolitici. "Una delle cose più sorprendenti è la continuità di queste pratiche, che si ripetono uguali a loro stesse per un arco temporale di più di mille anni, datate al C14 tra 5200 e 3900 anni avanti Cristo", spiega Savino di Lernia, aggiungendo che "nei trenta monumenti che abbiamo indagato, su un totale di circa 200 che abbiamo censito con le rilevazioni satellitari, gli animali risultano uccisi nello stesso modo, con lo stesso tipo di asce che erano poi deposte nella stessa posizione, e spesso omaggiati con fiori".
Le ricerche di laboratorio condotte in Europa (Roma, Modena, Milano, Cambridge, Parigi) e negli Stati Uniti (Chapel Hill, North Carolina; Atlanta, Georgia) hanno ulteriormente arricchito il quadro archeologico e antropologico. Le analisi isotopiche (stronzio, carbonio, ossigeno) dello smalto dentario dei bovini hanno permesso di ricostruire con precisione luoghi di provenienza e di pascolo degli animali, intercettando fluttuazioni stagionali e fasi di transumanza.
Il rituale del sacrificio del toro veniva praticato da popolazioni neolitiche pastorali che migravano in inverno dalle aree pianeggianti dell'edeyen di Murzuq, oggi una vasta distesa di sabbia, verso nord, nelle terre più ricche di acqua e di pascolo dell'altopiano del Messak. E' ragionevole che i rituali sacrificali di uccisione e consumo del bue avvenissero alla fine dell'inverno, come indicato dalle analisi paleobotaniche, che hanno rivelato la presenza di fiori primaverili deposti nelle tombe dei bovini.
La regione del Sahara libico si conferma così come uno degli scenari più fecondi su cui la Sapienza investe, mettendo in campo l'esperienza e la tradizione della scuola archeologica romana: solo pochi mesi fa, lo staff della Missione archeologica, ha scoperto le più antiche tracce di trasformazione di latte nei frammenti di vaso neolitici, che rappresentano la più antica evidenza africana di produzione casearia.

Nell'immagine: alcuni simboli in un villaggio Dogon.

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