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lunedì 3 marzo 2014

L’inizio dell’Età del Rame in Sardegna, di Pierluigi Montalbano

L’inizio dell’Età del Rame in Sardegna
di Pierluigi Montalbano.


Nel Neolitico, la grande risorsa della Sardegna era costituita dai suoi ricchi giacimenti di selce e soprattutto di ossidiana, presente allo stato naturale nel Monte Arci, nell’Oristanese, da dove si diffonde nell’isola, nel Lazio, in Toscana, in Liguria e nel Veneto,nella Corsica e nella Francia meridionale. Questo materiale conferma rapporti fra le popolazioni tirreniche, suggeriti anche dalle similitudini negli stili ceramici. Anche la selce locale trova largo impiego nei giacimenti neolitici della Sardegna e della Corsica. Nell’ambito della cultura di Ozieri si diffonde il megalitismo, con dolmen e menhir isolati o raggruppati in allineamenti, aree sacre e necropoli, e anche da strutture dolmeniche connesse a domus de janas ricche di decorazioni interne. Dalle forme essenziali prendono forma, evolvendosi nei periodi successivi, una serie di monumenti quali i dolmen ad alèe e a corridoio, le allées couvertes, o tombe a galleria, e altre tombe accompagnate da menhir.
Il miglior esempio di santuario megalitico con sepolture monumentali è Pranu Mutteddu di Goni, nel Gerrei. In un bosco di querce abbiamo due massi sistemati su solidi basamenti di piccole pietre, accuratamente rifiniti a martellina e scavati con una cameretta monocellulare (l’ingresso) e una bicellulare, circondate da alcuni cerchi concentrici di pietre. Al centro di questi anelli litici si trovano ciste litiche con un corridoio d’accesso. Eccezionale nella zona è la densità di menhir allineati di oltre 2 m che si ergono al margine o al centro dei circoli tombali. I materiali di scavo attestano una cronologia iniziale nella cultura di Ozieri, con precoce impiego del rame e dell’argento, e una prosecuzione di uso fino al Bronzo iniziale.
Il monumento più singolare del megalitismo è quello di Monte d’Accoddi, nei pressi di Sassari, realizzato al centro di un villaggio di capanne a pianta circolare databile agli inizi del IV Millennio a.C. Nell’area sacra si nota un menhir alto quasi 5 metri in calcare, e due lastre di pietra con fori e coppelle per scopi rituali. Questo primitivo santuario fu ricoperto da due ristrutturazioni. La possente struttura oggi visibile, costruita a secco con grandi blocchi di calcare, si presenta come una grande piramide tronca (36 x 29 m), a un lato della quale si appoggia una lunga rampa di accesso (lunga 41,8 m): una ziqqurat. All’interno di questa struttura è stata scoperta una raffinata struttura intonacata e affrescata con colore rosso ocra, della quale rimangono il pavimento dipinto di rosso e il muro perimetrale alto 70 cm. Anche la prima piramide ha restituito resti di intonaco dipinto di rosso, per cui è stata denominata “il Tempio Rosso”.
È difficile stabilire con certezza il momento del passaggio dalla cultura di Ozieri alle sue fasi attardate (Ozieri dipinto) e alle successive culture di Filigosa e di Abealzu, caratterizzate da ceramica nerastra.
La prima è rappresentata da ciotole carenate con un motivo graffito a zig-zag o una fila di puntini, o rombi tracciati sul collo o sulla spalla. La seconda, invece, ha tazzine con due presine opposte all’ansa, vasi tripodi e vasi con alto collo (a fiasco) inornati.
Le tombe di queste fasi sono ipogeiche, con lunghi corridoi (dromoi) scavati nella roccia e stretti vani interni. La necropoli di Filigosa (Macomèr), conta meno di una decina di ipogei raggruppati alle falde di una collinetta dominata dal nuraghe Ruggiu, edificato circa 1000 anni dopo. Fra i reperti si ricordano un vasetto miniaturistico, un vasetto di legno, una testa di spillone di impasto e un anellino d’argento. Anche in Sardegna come in Sicilia, in Italia meridionale e in Corsica, il metallo compare in contesti del Neolitico recente (Su Coddu di Selargius e Monte d’Accoddi), con pugnaletti, punteruoli e piccole asce di rame, braccialetti, anelli ed elementi a spirale di rame e d’argento, mentre dalla seconda metà del III millennio è attestato l’uso di riparare i vasi con grappe di piombo.
Alla piena Età del Rame appartengono le straordinarie statue-menhir di Laconi (Nuoro) nell’alto Sarcidano, spesso raggruppate, accuratamente lavorate a martellina, di forma ogivale con tratti antropomorfi e simboli scolpiti (pugnali o scettri) nella parte anteriore.
La cultura di Monte Claro (dalla collina su cui sorge Villa Claro a Cagliari) si distingue dalle precedenti per abbondanza di rinvenimenti ceramici, caratterizzati da un impasto bruno chiaro o rossiccio e la decorazione a scanalature. Le forme includono grandi vasi situliformi, basse scodelle, tripodi, vasi di diverse fogge con due coppie di anse sul corpo e sul collo, con decorazione impressa e dipinta a stralucido distribuita sulle anse, sulla spalla o su tutto il corpo. Gli insediamenti Monte Claro sono sia in grotta che in villaggi all’aperto.
Le sepolture vengono deposte in domus de janas preesistenti, fra le quali si ricordano quelle di Monte d’Accoddi (Sassari), di Su Crucifissu Mannu (Porto Torres), di Anghelu Ruju e di Santu Pedru (Alghero), in tombe a forno con accesso a pozzo (Monte Claro e Via Basilicata a Cagliari), in tombe a cista litica (San Gemiliano di Sestu, Cagliari) e in dolmen (Motorra, Dorgali).
In questo periodo ci sono contatti con la penisola iberica testimoniati dalla presenza di oggetti tipici: un vaso a forma di campana rovesciata (da cui il nome di cultura del Vaso Campaniforme), decorato da strette fasce orizzontali con motivi geometrici impressi a pettine, scodelloni con tre o quattro piedi (cuencos) recanti la stessa decorazione, bottoni di osso rotondi con perforazione a V, pendenti di conchiglia a crescente lunare, punte di freccia di selce con codolo e alette squadrate, e brassard, ossia placchette di pietra rettangolare o osso munite di fori alle estremità e legati all’avambraccio, utilizzati per non ferirsi dal ritorno della corda dell’arco dopo aver scoccato le frecce.
Questi materiali sono tipici di quelle genti che si spostavano alla ricerca di metalli nell’Europa settentrionale, nelle coste del canale della Manica, in Francia e nella penisola iberica. Erano specializzati nel tiro con l’arco e portavano ornamenti (pendagli in osso, perline, denti di volpe…) che sono stati trovati nel loro corredo funebre, accompagnati da perline in ambra, punte di freccia, vasetti senza anse a forma di campana (beakers). Sono caratterizzati da scheletri di tipologia brachimorfa, ossia forti e tozzi, con cranio regolare, differente da quella dolicomorfa (cranio allungato e altezza di circa 1.75 metri) diffusa in Sardegna. L’incrocio di queste genti produrrà, nel corso di mezzo millennio, quel sostrato culturale nel quale si svilupperà la civiltà nuragica.
Immagine di www.lacomunidad.elpais.com

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