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sabato 24 maggio 2014

Scritte numerali sui nuraghi, di Massimo Pittau

Scritte numerali sui nuraghi
di Massimo Pittau


Per quanto mi risulta, è stato Ettore Pais - però su indicazione di Filippo Nissardi - il primo studioso a segnalare, nel suo saggio Sulla civiltà dei Nuraghi e lo sviluppo sociologico della Sardegna  (1909- 1911), l'esistenza di segni grafici nel nuraghe Losa di Abbasanta e precisamente in un masso orizzontale, sistemato all'inizio e a sinistra della scala circolare.
Ed egli scrisse di ritenere che quei segni grafici fossero contemporanei alla costruzione proprio del grandioso nuraghe e che inoltre appartenessero a una scrittura primitiva degli antichi Sardi o Protosardi.
Di recente si sono fatti avanti alcuni dilettanti, i quali hanno ritenuto anch'essi che si tratti di segni grafici di una supposta “scrittura nuragica”. Essi hanno riempito numerosi siti internet con una serie enorme di considerazioni pseudolinguistiche e pseudoarcheologiche, le quali in realtà sono del tutto prive di valore scientifico.Si sono anche contraddetti vistosamente, dato che all'inizio avevano parlato di “scrittura nuragica” totalmente ed esclusivamente tale, dopo hanno finito col compararla e connetterla con quasi tutte le scritture degli antichi popoli del Vicino Oriente. Io mi sono interessato a lungo del problema della conoscenza e dell'uso da parte dei Nuragici della scrittura, dato che ho sempre considerato una autentica sciocchezza la tesi messa in giro e spesso ripetuta della “civiltà illetterata” dei Nuragici. E in vista di questo mio interesse al problema ho fatto anche una ricca raccolta di segni che nei nuraghi, nelle tombe di gigante e nel vasellame nuragico potessero risalire proprio ai Nuragici. Alla fine però ho concluso la mia ricerca, quando mi sono sentito in grado di affermare che:
I) Non è mai esistita una scrittura propriamente ed esclusivamente nuragica;
II) I Nuragici hanno effettivamente conosciuto e adoperato la scrittura, ma facendo uso prima dell'alfabeto fenicio, poi di quello greco e infine quello latino (cfr. M. Pittau, Storia dei Sardi Nuragici, Selargius,  2007, § 24; M.Pittau, Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama I appendice, I ediz. 2008, II ediz. 2009, Sassari, EDES).
Venendo ai segni incisi nel masso della scala interna del nuraghe Losa di Abbasanta, io escludo che si tratti di segni grafici, cioè di lettere di una scrittura,  e dico invece, oggi per  la prima volta, che si tratta di “segni numerali” incisi dai costruttori del nuraghe, a mano a mano che lo costruivano.
La costruzione del più semplice dei nuraghi richiedeva molto tempo, mesi, anni e perfino decenni.
Sono pertanto dell'avviso che ciascuna delle aste verticali della scritta del nuraghe Losa indichi un anno intero, mentre i più corti segni diagonali, che si congiungono ai primi, indichino i mesi.
La costruzione del nuraghe Losa dunque ha richiesto probabilmente 23 o 24 anni (tale sembra il numero delle aste, più alcune frazioni di mesi), che è una somma di anni che ben si adatta alla costruzione del grandioso edificio.
È appena il caso di ricordare che anche numerose chiese cristiane, soprattutto in epoca medioevale, hanno richiesto anni, decenni e perfino secoli per essere portate a termine.



Si comprende abbastanza facilmente il motivo della incisione della “scritta numerale” nel masso di inizio della scala interna del nuraghe: la scritta fu iniziata all'atto della prima costruzione del nuraghe e fu di anno in anno accresciuta e aggiornata a mano a mano che la costrizione andava avanti.
I segni numerali sono abbastanza differenti l'uno dall'altro per il motivo che col passare degli anni cambiavano i costruttori dell'edificio e cambiavano i trascrittori dei segni++.&
Si comprende pure la ragione per la quale i costruttori scelsero quel posto nascosto dell'edificio: si trattava di evitare che la scritta fosse guastata dai numerosi visitatori del grande edificio di culto.
Sempre nel nuraghe Losa, in un masso esterno del muraglione di settentrione, a livello di fondazione, il Pais ha segnalato anche l'esistenza di segni simili a quelli visti.
In più egli ha visto il disegno di un fallo, che però io non ho mai riscontrato.
Non mi sento di dire nulla su questa serie di segni: dico solamente che la prima scritta molto verosimilmente risale all'epoca della fondazione del grande nuraghe, mentre questa seconda potrebbe essere successiva anche di parecchio tempo.

Sempre su indicazione di Filippo Nissardi il Pais ha segnalato pure l'esistenza di una scritta similare in un masso di destra dell'ingresso del nuraghe Bara o Succoronis, fra Macomer e Sindia. Eccone la fotografia, non chiara sia per il muschio della roccia, sia per la sua posizione quasi orizzontale. Ed accanto il probabile disegno:

A mio avviso anche questa è un “scritta numerale”, che segna gli anni occorsi per costruire il nuraghe.Per concludere ricordo che fino a un cinquantennio fa, quando molti pastori non sapevano leggere né scrivere, erano soliti segnare la quantità di latte che versavano al caseificio facendo particolari tacche su un piccolo ramo d'albero fatto a bastone.

18 commenti:

  1. Per dovere di cronaca posso esternare che:
    La segnalazione del macigno inciso compare già nella letteratura del XX° sec. dove vari studi si contrappongono animatamente per l'inquadramento del “festone” inciso e di altri segni posti sul paramento esterno del bastione. Già si osserva, nei primi decenni del 1900, come diversi studiosi colgano le differenze sostanziali tra l'arte rupestre e le incisioni filiformi o astiformi e si generi un'accesa discussione sull'origine delle incisioni astiformi rinvenibili nel mediterraneo occidentale. Lo studio riporta come diversi ricercatori portino a confronto le incisioni della Provenza e della Liguria e le considerino come una forma di protoscrittura, una selezione finale di forme figurative, riprove e adattamenti accorsi dopo molte generazioni. Ma nonostante tutto tale studio, pur riconoscendo nei segni di Abbasanta un'intenzione mnemonica da parte della mano tracciante, si rifiuta di credere una simile evoluzione. Il pregiudizio da parte dei ricercatori è dovuto esclusivamente al fatto che, nel 1914, non si conosca e non si abbia ancora traccia delle fasi pittorico-geroglifico-sillabiche da cui la modulazione astiforme sarebbe derivata né tantomeno si conoscano appieno le origini artistiche data l'incompletezza delle ricerche sulla preistoria europea. Una prima disamina ci permette di osservare che almeno uno dei simboli individuabili nel “festone” posto nella rampa ascendente del Nuraghe Losa si riscontra inserito nel complesso scrittorio fenicio rilevato a Gozo (III-II sec. a.C), e ancora in quello presunto come fenicio rilevato a Pyrgi. Ma ciò che preme maggiormente è segnalare che almeno tre segni presenti nel concio inciso del Nuraghe Losa compaiano nel complesso alfabetico iberico definito alfabeto orientale. L'alfabeto iberico definito orientale o levantino è un complesso di segni pre-romani che si ritrova riprodotto e utilizzato nell'antichità a partire dalla costa orientale della Penisola Iberica, sino al fiume Herault, nella Francia del Sud, dove si presume si collochi il confine linguistico tra Iberi e Liguri. E' importante evidenziare che per alcuni studiosi la scrittura iberica nasca nel S-E della penisola dove, in qualche grande santuario, risiedevano degli individui che già conoscevano la scrittura. Come è importante riportare che a partire dal 1700 a.C, secondo alcuni studiosi, alcune genti orientali, un gruppo di emigranti che ha preceduto i fenici in Occidente, furono le portatrici del sillabario ipotetico che diventerà lo script iberico.

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  2. Nell'aggiungere che le incisioni astiformi mi vengono di continuo segnalate sia dalla penisola iberica che dal sud della Francia ... lancio una piccola provocazione.... aguzzate la vista..
    http://ilpopoloshardana.blogspot.it/2013/10/aguzzate-la-vista-due-incisioni.html

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  3. In uno studio non tanto recente e pubblicato in più parti vengono analizzati arte, simbologia e religione relativi all’ipogeismo in Sardegna. Nello studio si esprimono metodi di ricerca, classificazione, analisi tecnica e cronologica purtroppo coronati da grossolane dimenticanze che portano a considerare/chiedersi come mai un ricercatore del calibro e della levatura scientifica dell’Autrice le abbia potute compiere/andare incontro (lavaggio delle superfici incise con acqua e pennello senza datazione con il metodo del rapporto tra cationi; la mancanza di analisi sui pigmenti in modo da ottenere un minimo appiglio cronologico; il tenere conto esclusivamente degli attributi “locali” della cultura materiale senza volgere uno “sguardo” alle associazioni e le culture del mediterraneo occidentale). L’arco cronologico ritagliato, i cui estremi sono il Neolitico Recente e l’Età romano-medievale, è subordinato all’ipotesi di origine e di scavo delle Domus de janas e al loro continuo riutilizzo almeno sino all’Altomedioevo. Il lavoro esposto pare abbastanza accurato e segue un metodo ben definito, descritto ampiamente, basato sull’evoluzione stilistica, secondo purtroppo l’interpretazione dell’autore, dei modelli umani/animali per giungere ai modelli schematici. Le conclusioni portano a considerare che l’arte ipogeica, secondo il ricercatore, abbia molto da condividere con la penisola iberica e il Midì francese durante un periodo compreso tra il Neolitico Finale e l’Età del Rame. Il risultato mi conforta certamente ma non mi è chiaro come si giunga ad una considerazione tale dato che i presupposti iniziali della ricerca non lascino ad intendere una considerazione del patrimonio artistico paleolitico dell’Europa occidentale. Un patrimonio artistico, che la ricerca internazionale lega ad una cronologia ben precisa, vede prima nascere le incisioni e successivamente l’arte pittorica. Ma a questa regola pare non sottostare la ricercatrice, la quale esprime il concetto che la tecnica a “martellina” sia più recente della scultura e della pittura.

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  4. Dopo questo critico preambolo, dato che viene considerato come l’unico studio attendibile sull’arte incisoria in Sardegna, porto a confronto/esame, quest’oggi, le incisioni che compaiono al Nuraghe Losa di Abbasanta. Qualcuno sottolineerà il fatto che il preambolo parla di ipogeismo mentre abbiamo a che fare con un edificio soprastante il terreno ma rimarco il fatto che, se si parla di arte e incisioni, nulla deve essere lasciato al caso, a maggior ragione queste incisioni segnalate già dagli albori della ricerca archeologica in Sardegna. Un terreno minato, quello delle incisioni al Nuraghe Losa di Abbasanta e al Succuronis di Macomer, tale da far scivolare in fallo ultimamente perfino R. Zucca quando giustifica, riportando un’ipotesi di E. Pais, Pallottino e Lilliu, l’idea tanto accorata che vedeva una filiazione, delle incisioni astiformi, da scritture iberiche di soldati arruolati nell’esercito cartaginese in transito in Sardegna in epoca repubblicana. Un’ipotesi troppo arzigogolata che chiaramente mostra quanto poco/nulla si conosca del bagaglio artistico del Mediterraneo Occidentale. Per il momento riporto le realtà del Losa, del Succuronis e di Mandra Manna di Tula, forse quest’ultima sconosciuta o non considerata dal Zucca, dove possiamo trovare, secondo la Basoli che si è occupata di quest’ultimo sito, una riconduzione a contesti dell’Età del Rame. Ho citato questi esempi, compresi i riferimenti e le conclusioni della Tanda come potrei citare altri autori, per dimostrare al prof. Zucca come i contatti con la penisola iberica non siano limitati esclusivamente all’epoca repubblicana (in virtù di quando, secondo alcuni, gli iberici abbiano adottato o meno una scrittura discutibilmente derivata da supposti apporti del Mediterraneo Orientale) e che forse la gamma scriptoria/simbolica nella Sardegna “preistorica” andrebbe rivista con un po’ più di volontà/apertura e non con pregiudizi, spesso anche al limite dell’insulto, avanzati da altri ricercatori. Vorrei in ultimo sottolineare come il Mediterraneo Occidentale possa essere considerato come omogeneo linguisticamente e geneticamente affine ben molto tempo prima dell’uso linguistico latino tanto da far convergere diversi studi

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  5. Grazie Marcello per il contributo. ( P.Montalbano ).

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  6. Mi da fastidio che pubblichiate questi segni astiformi....e non la vera scrittura antica sarda fatta di segni protosinaitici, protocananaici etc. i Nuragici scrivevano molto prima dei vostri amati fenici.......solo che è troppo duro ammetterlo.....non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere (NR YHWH)

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  7. Massimo Pittau scrive:
    "Mi dispiace, ma non posso accettare l'implicito invito del sig. Marcello Cabriolu a intervenire nella discussione relativa alla natura delle scritte dei due nuraghi di Losa e di Bara/Succoronis: egli le ritiene "scritte alfabetiche", mentre io le ritengo solamente "scritte numerali". Tanto meno posso accettare di entrare di nuovo nella pseudoquestione della "scrittura nuragica", dato che ritengo di avere ampiamente dimostrato che questa non è mai esistita.

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  8. Mauro Mascia scrive:
    Caro professore,
    ho letto l'articolo e non ho alcuna difficoltà ad accogliere la sua proposta. Io stesso ne feci una analoga in quel mio libro del 1991 sui nuraghi dell'Anglona (p. 174, fig. 42) ipotizzando che i segni incisi su un inusuale manufatto di terracotta rappresentassero dei numeri.
    Purtroppo il campo è invaso da invasati (scusi il bisticcio di parole) che non consentono un approccio sereno alla complessa materia. Quel mio studio poi è stato rivalutato e anche recensito molto positivamente da uno dei maggiori studiosi (il prof. Guido Magli, matematico e astronomo del prestigioso Politecnico di Milano) che lo definì “un bellissimo esempio di una vera e propria nuova disciplina scientifica che potremmo chiamare topografia predittiva” (G. Magli, I segreti delle antiche città megalitiche, Roma, Newton Compton Editori 2007, pp. 184-185). Tuttavia non mi sono più voluto interessare dell'argomento sebbene resti per me affascinante.
    Un caro saluto.

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  9. Sarei grato al Prof.Pittau se mi potrebbe dare una sua opinione sui segni impressi sulla navicella fittile del museo di Teti.

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  10. http://ilpopoloshardana.blogspot.it/2014/05/incisioni-e-protoscrittura-nelleuropa.html

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  11. Massimo Pittau scrive:
    Io non sono in grado di dire nulla sulla navicella nuragica di Teti, perché non me ne sono mai interessato. E, data la mia non più giovane età, è molto improbable che me ne possa interessare nel futuro

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  12. Alcune cose sulla navicella nuragica di Teti:
    E'nuragica,è scritta,i segni sono impressi prima della cottura dell'impasto,è stata datata prima della cosidetta"colonizzazione fenicia",c'è un segno (il cosidetto pugnaletto)che è esclusivo della Sardegna.
    Pertanto inviterei il Prof.Pittau a essere piu' cauto nell'affermare che i nuragici non scrivessero,o che lo fecero solo usando gli alfabeti fenicio,greco o latino.
    I segni incisi non sono ne fenici,ne greci ne latini.
    Saluti
    Valerio Aresu

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  13. Continuo ormai da anni, senza essere smentito da alcuno, a sostenere che la scrittura è funzionale alla trasmissione di un messaggio, ossia è uno strumento concreto a disposizione di chi ha la necessità di commerciare. Un messaggio deve avere almeno due interlocutori: chi scrive e chi legge. Ambedue sono obbligati a condividere lo stesso gergo, la stessa idea di comunicazione. I sardi erano protagonisti degli scambi mediterranei, pertanto sostenere che utilizzassero una lingua confinata all'interno dell'isola è una sciocchezza che presenta una serie di banali considerazioni: significherebbe confinare i sardi all'interno di una società chiusa, raccontarli come lontani dal mare (interfaccia di civiltà che si rapportano con altri popoli), descriverli come succubi di imperi esterni (che, invece, non ci sono) e, soprattutto, inventare di sana pianta la metodologia di comunicazione del passato. La scrittura c'era e, ovviamente, si utilizzava un alfabeto condiviso...altrimenti avrebbe comportato un messaggio unilaterale, fine a se stesso. Dire che I sardi utilizzavano un sistema di scrittura proprio significa non avere alcuna cognizione di come si viveva all'epoca e di quale sia la molla che spingeva I popoli ad incontrarsi.

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  14. Il suo ragionamento dovrebbe valere per tutti i popoli e non solo per i sardi.Prendiamo ad esempio i cretesi...erano isolati? direi di no,commerciavano? certo che commerciavano...eppure la cosidetta "lineare A"era il loro peculiare metodo di scrittura.
    Ogni popolo aveva la sua lingua e il suo sistema di scrittura,ittiti,assiri egizi tra loro commerciavano ma parlavano lingue diverse e scrivevano diversamente.


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  15. C'è una differenza sostanziale: come la mettiamo con le cronologie? I cretesi della lineare anticipano di oltre mezzo millennio l'età dei fenici. E' evidente che nel Mediterraneo della prima metà del II Millennio si utilizzava il lineare da tutte quelle genti che avevano i minoici come intermediari commerciali. Ritornando al suo ragionamento, sarebbe come dire che siccome nel 1600 i sardi parlavano e scrivevano in latino ( la lingua condivisa) e spagnolo (la lingua del sovrano), oltre il sardo (la lingua dei residenti), anche oggi dovremmo scrivere in latino. Non regge. Ogni epoca ha le sue lingue, i suoi alfabeti, le sue culture e i suoi sistemi di vita. I cretesi erano minoici...poi micenei...poi parteciparono alla koinè mediterranea di età fenicia che scriveva i trattati e gli accordi nel linguaggio internazionale condiviso, qualunque esso fosse. Un codice conosciuto da chi scriveva e da chi leggeva.

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  16. Massimo Pittau scrive:
    Mia risposta al signor Valerio Aresu (ma è questo il suo vero nome?)
    1) Non mi sembra pacifico che quella di Teti sia una "navicella nuragica di creta".
    2) I segni impressi sulla creta dell'oggetto prima della cottura sono del tutto evidenti; ma
    3) Come fa il sig. Aresu ad essere sicuro che si tratti veramente di "segni alfabetici" ed a quale scrittura apparterrebbero?
    4) E che cosa significherebbero, cioè "cosa direbbero", dato che qualsiasi scritta, in qualsiasi lingua, tende sempre a "dire qualcosa".
    Concludo dicendo che condivido appieno le sensate considerazioni di Pierluigi Montalbano.

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  17. I minoici avevano rapporti commerciali con gli egizi e gli ittiti e tutti questi popoli avevano la loro lingua e un diverso sistema di scrittura,questo non gli impediva di avere tra loro regolari rapporti commerciali.
    Per rispondere al Prof.Pittau,la lineara A non e' stata ancora decifrata ma nessuno si sogna di dire che non e' un sistema di scrittura.
    La navicella fittile del museo di Teti e' stata definita nuragica dagli archeologi e datata prima dell'arrivo dei fenici in sardegna.
    La storia dovrebbe essere scritta e eventualmente riscritta in base ai ritrovamenti archeologici.La navicella e'esposta nel museo,spetta agli esperti esaminare i segni impressi,e valutare se quei segni erano usati in altre parti del mediterraneo o se risultano sconosciuti.
    Saluti
    Valerio Aresu

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  18. --Di recente si sono fatti avanti alcuni dilettanti, i quali hanno ritenuto anch'essi che si tratti di segni grafici di una supposta “scrittura nuragica”. Essi hanno riempito numerosi siti internet con una serie enorme di considerazioni pseudolinguistiche e pseudoarcheologiche, le quali in realtà sono del tutto prive di valore scientifico--
    Dai questa è una cattiveria e una sparata bella e buona. A me sembra che con metodo scientifico abbiano dimostrato gli errori del prof. pittau vedi rotella di palmavera

    --.Si sono anche contraddetti vistosamente, dato che all'inizio avevano parlato di “scrittura nuragica” totalmente ed esclusivamente tale, dopo hanno finito col compararla e connetterla con quasi tutte le scritture degli antichi popoli del Vicino Oriente--
    Non è vero, secondo la tesi di Gigi Sanna, la scrittura nuragica è sempre stata un mix di altri alfabeti usati del periodo, ci sono poi delle evoluzioni di cui alcuni segni che diventano tipicamente sardi. Non si discosta molto dalla sua teoria di scrittura nuragica fatta di caratteri fenici e latini ma con messaggio in sardo, se non fosse che la sua interpretazione è di un utilizzo molto recente mentre gigi sanna la fa risalire al perido del bronzo.

    --Tanto meno posso accettare di entrare di nuovo nella pseudoquestione della "scrittura nuragica", dato che ritengo di avere ampiamente dimostrato che questa non è mai esistita--
    Ma come e quando la avrebbe ampiamente dimostrato ? Affermando con sicurezza che le scritte non possono essere trovate nelle fusaiole per essere poi ampiamente smentito da Aba Losi con prove oggettive ? E perchè afferma che la scrittura nuragica non è mai esistita quando parla di scrittura nuragica nei suoi testi ?

    --Io non sono in grado di dire nulla sulla navicella nuragica di Teti, perché non me ne sono mai interessato. E, data la mia non più giovane età, è molto improbable che me ne possa interessare nel futuro--
    Ma bene!! E' questo il vero confronto.. Gigi Sanna è un dilettante però ci si rifiuta di analizzare un reperto straordinario con inequivocabili segni di scrittura e di datazione nuragica. Se non si ha il tempo per studiare un referto importantissimo chiave sia per le teorie di Gigi Sanna che per le sue, come mai si ha il tempo di dargli del dilettanti? Gigi Sanna la lettura sulla barchetta di teti la ha fatta, come può invece che entrare nel merito chiudere con un --Come fa il sig. Aresu ad essere sicuro che si tratti veramente di "segni alfabetici" ed a quale scrittura apparterrebbero?--

    Prof. Pittau, sinceramente non riesco a capire la sua chiusura e le sue offese verso chi come lei ha portato avanti degli studi sulla scrittura in sardegna. E poi prof. Pittau davvero crede che Gigi Sanna sia un dilettante ?! Non ci credo..

    Gianni Melis

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