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domenica 7 settembre 2014

Nuraghe Santu Antine e Domus De Janas Sant'Andra Priu, magica Sardegna

Santu Antine e Sant'Andrea Priu, magica Sardegna.
di Pierluigi Montalbano


E' in programma un'escursione nel Nord Sardegna con visite guidate a Terralba e Bonorva. Nell'attesa...vi offro un'anteprima di questi due incantevoli luoghi dell'archeologia sarda.


Nuraghe Santu Antine
In Sardegna, nella regione storica del Meilogu, c’è un altopiano denominato la Valle dei Nuraghi costellato di torri nuragiche. Il Santu Antine è il più maestoso fra questi edifici del Bronzo. Per raggiungerlo occorre percorrere la SS 131 e uscire al bivio per Torralba, al km 173. Il nome del nuraghe deriva da Costantino, l'imperatore romano che favorì il cristianesimo nell’impero. La gente del luogo ricorda questo nuraghe con il nome Sa Domu de su Re (la casa del re). Intorno al complesso ci sono i resti del villaggio di capanne del bronzo e strutture di case di epoca romana.
Fu fra le prime costruzioni preistoriche ad attirare l'attenzione degli studiosi, fin dal Settecento. Un primo disegno del nuraghe fu eseguito nel 1774 da Francesco Cetti, e la prima fotografia risale al 1901, a cura di Giovanni Pinza.
La pianta triangolare arrotondata della struttura è costituita da un mastio centrale e tre torri disposte ai lati, unite da poderose mura. Davanti alla torre centrale c’è il cortile, chiuso dal muro che congiunge le due torri laterali. L'entrata è a sud, dove le mura sono più spesse per consentire la realizzazione di una camera sul lato del breve corridoio che si apre sul cortile interno. Nel cortile si nota un grande pozzo coperto e una serie di ingressi disposti simmetricamente a destra e a sinistra. La torre centrale a tre piani è databile alla fine del XVI a.C., e oggi residua per un’altezza di quasi 18 metri. Nel lato sinistro del corridoio che porta al mastio c’è la scala che conduce ai piani superiori. Il soffitto a tholos della camera centrale raggiunge gli 8 metri e il vano si presenta ampio grazie soprattutto a un corridoio ad anello, munito di piccolo pozzo, che presenta una serie di ingressi che si affacciano proprio verso la camera centrale.

La scala gira a 360° intorno al mastio e nel secondo piano, sulla sinistra, c’è una finestra che si affaccia sul cortile, mentre alla destra c’è l’ingresso alla seconda camera, anche questa con il soffitto a tholos e dotata di una serie di pietre squadrate per sedersi, allineate nel perimetro interno come quelli osservabili nelle capanne delle riunioni del Primo Ferro presenti in vari siti dell’isola. La scala interna prosegue per il terzo piano, visibilmente rovinato, che offre un bel panorama sulla valle circostante e sui resti delle capanne adiacenti al complesso.
Dal cortile si può accedere ai bastioni attraverso sei entrate, tutte con sezione differente.  Dai bastioni non si può accedere al mastio e ciò suggerisce che la costruzione dei bastioni è posteriore a quella della torre centrale.
Dalle due torri laterali si accede a lunghi corridoi nei quali si può entrare anche attraverso piccoli corridoi trasversali che iniziano dal cortile. Sul lato esterno dei corridoi si notano finestrelle che consentono alla luce e all’aria di penetrare negli ambienti.  Nella torre settentrionale, anch'essa scoperta, si trova un terzo pozzo con apertura sotto il piano di calpestio e coperta da lastre di pietra. L'insieme di corridoi dell’edificio potrebbe essere assimilato a un labirinto e tutto il primo piano si trova oggi all'aperto, suggerendo ai visitatori una similitudine con i grandi castelli medievali.
Le prime capanne circolari del villaggio addossato alle mura sono del XII a.C. Realizzate similmente alle pinnettas ancora oggi visibili nel panorama rurale sardo, sono affiancate da successive capanne rettangolari di epoca romana, infatti nelle immediate vicinanze del nuraghe c’era il percorso romano che collegava il sud e il nord dell’isola, testimonianza di una lunga frequentazione da parte di mercanti, pellegrini e, certamente, anche truppe.


Domus De Janas Sant’Andrea Priu, Bonorva

Realizzata dai sardi preistorici nei pressi di Bonorva, nella piana di S. Lucia, è costituita da una ventina di tombe sotterranee scavate nel neolitico lungo il ripido costone di trachite. Le domus de janas erano utilizzate per onorare i sepolti già 5000 anni fa ma la parola (casa delle fate) è recente, quando si era ormai persa memoria della funzione originaria e nella tradizione popolare si credeva fossero abitate da streghe, fate e gnomi. Alcune di queste grotticelle erano frequentate dai contadini, che le usavano come ovili o depositi di attrezzi, ma si racconta che alcuni di loro avevano paura ad entrarvi.
Una delle più famose è la Tomba del Capo, un ipogeo labirintico formato da 18 vani, di cui 3 molto grandi disposti lungo lo stesso asse e gli altri 15 sistemati attorno ai tre principali.
L’interno di questi luoghi ha l’aspetto delle abitazioni preistoriche: architravi, stipiti, pilastri di sostegno e altri elementi realizzati forse perché si credeva che il defunto potesse risorgere. La comunità preparava, in sostanza, un luogo simile alle capanne in cui aveva trascorso l’esistenza. Ciò è suggerito anche dal corredo funerario, formato da utensili e oggetti di vita quotidiana posti vicini al defunto.
Gli scheletri erano disposti in posizione fetale, verosimilmente perché potessero rinascere direttamente dal grembo della Madre Terra. Le grotticelle erano ricoperte internamente di ocra rossa, il colore del sangue e simbolo della fuoriuscita dal grembo materno alla nascita.
All’ingresso si notano vari solchi rotondi, le coppelle votive nelle quali sidepositavano le offerte per i defunti: olio, grano, fiori e altri elementi.
Nel 535 d.C. il sito fu utilizzato come Chiesa Bizantina, come testimoniano le tombe scavate nella roccia con cuscino simbolico. Nel 1313 fu intitolata a S.Andrea dal Vescovo di Sorres, Guantino di Fanfara. Fu intonacata di bianco, affrescata e i pilastri interni furono levigati e trasformati in colonne. Le nicchie dei sepolcri furono chiuse, e conservati solo i tre vani principali: nartece per i catecumeni, aula per i fedeli battezzati e presbiterio per i sacerdoti.
Sopra l’altare c’è un’apertura rotonda, un pozzo di luce che lasciava penetrare la luce del sole e illuminava il sacerdote, differentemente dai fedeli che restavano al buio.
Anche la pioggia era sacralizzata: proveniva dal cielo e, toccando l’altare defluiva in due canali che finivano in un pozzetto utilizzato come fonte battesimale. Nel sito troviamo vari affreschi: un Cristo pantocratore nella mandorla con i quattro evangelisti ai lati, i 12 apostoli alla destra e la sua infanzia alla sinistra.
In cima c’è una statua del dio toro al quale i cristiani hanno tagliato la testa.


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