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mercoledì 9 dicembre 2015

I maestri della pittura. Caravaggio, il genio solitario malvisto dalla Chiesa Cattolica, il pittore del vero che inventò la pittura inquieta.

I maestri della pittura. Caravaggio, il genio solitario malvisto dalla Chiesa Cattolica, il pittore del vero che inventò la pittura inquieta.

Il celebre pittore lombardo, il vero nome è Michelangelo Merisi, rivoluzionò la storia dell’arte nella seconda metà del Cinquecento. La sua vita travagliata, segnata da un delitto, una fuga disperata e un perdono giunto assieme alla morte furono elementi che influenzarono il suo mito. Introdusse due fattori di modernità assoluta: la resa della realtà in ogni forma anche brutale e la presenza della luce come apparizione simbolica di verità divina. Lo studio del vero, contro ogni regola accademica, e l'impiego violento della luce, come metafora della grazia divina, sono evidenti in ogni suo dipinto. La luce di Caravaggio squarcia le tenebre e arriva intensa nel cuore e nella mente dell’osservatore. In linea col pensiero filosofico e scientifico dell'epoca, era persuaso che solo attraverso la realtà si può giungere alla divinità, infatti le sue opere hanno sempre un contenuto profondamente religioso.
Nato nel 1571, nei pressi di Milano, apprende il mestiere nella bottega di Simone Peterzano, dove impara l'amore per la natura, la pratica del dipingere dal vero e una notevole attenzione agli
effetti della luce.
A 21 anni è a Roma, lavora nella bottega di Giuseppe Cerasi, detto il Cavalier d'Arpino, realizzando opere come la “Buona Ventura” e “I bari”. Osserva la natura riprendendo anche i dettagli di ciò che è brutto o rozzo, poi utilizza la luce per dare evidenza alle forme e concentrare l'interesse su alcuni punti focali. A differenza della pittura fiamminga, Caravaggio ci trasmette un messaggio morale, che può essere la denuncia dell'inganno amoroso (nella Buona ventura) o la condanna del gioco (come nei Bari). Nell'ambiente artistico romano, dominato fino a quel momento dal manierismo, il pittore lombardo impone il suo stile innovativo e geniale, suscitando scalpore e invidia, anche perché nel frattempo si è guadagnato la stima di grandi protettori, come il cardinale Francesco Maria Del Monte, un mecenate del Rinascimento, in contatto con personalità assai diverse come Galileo Galilei, il filosofo Tommaso Campanella, condannato dall'Inquisizione, e il cardinale Federico Borromeo, arcivescovo di Milano e cugino di San Carlo, uomini di rilievo della Controriforma. Per Del Monte, Caravaggio dipinge alcuni quadri dall'atmosfera ambigua e carichi di simboli come “I musici” e una celebre natura morta, donata a Federico Borromeo.
Attraverso il cardinale Del Monte, Caravaggio ottiene anche la sua prima commissione pubblica: la cappella Contarelli nella chiesa di S. Luigi dei Francesi, iniziata nel 1599. Il pittore qui si cimenta nelle sue prime pitture di storia sacra, il genere considerato più alto: la Vocazione e il Martirio di san Matteo. La Vocazione di san Matteo è un'opera di totale rottura col passato. Per la prima volta un episodio sacro è raffigurato nel presente: i cinque personaggi sulla sinistra sono in abiti contemporanei e l'ambientazione della scena è in una locanda dell'epoca, perché la ricerca della redenzione ‒ soprattutto per un'anima inquieta come Caravaggio ‒ deve essere un fatto attuale. La figura di san Pietro, emblema della Chiesa terrena, è quasi sovrapposta al Cristo per dimostrare che la salvezza può avvenire solo tramite la Chiesa. Entrambi, Pietro e Cristo, chiamano Matteo a un'altra vita mediante un raggio di luce: simbolo della grazia divina. La luce è la vera protagonista. Sempre per la stessa cappella esegue San Matteo e l'angelo, replicato due volte. La prima versione, giudicata indecorosa a causa della raffigurazione troppo umile dell'evangelista, è acquistata dal marchese Vincenzo Giustiniani. Stessa sorte tocca alla Madonna dei Palafrenieri. Caravaggio, sfidando le direttive della Chiesa che vietavano la raffigurazione in vesti di santi di persone riconoscibili, ritrae Lena, la sua donna, nella figura della Madonna. La pala è ritirata per ragioni di decoro e rivenduta al cardinale Scipione Borghese. Un altro quadro ancora, la Morte della Vergine, che mostra la Madonna scalza, spettinata e col volto livido, è rifiutato dal committente in seguito alla diceria che la modella fosse una prostituta annegata nel Tevere. Lo comprerà poi il pittore Rubens, per conto del duca di Mantova.
Insomma, per ogni opera respinta c'è un acquirente illustre pronto a ricomprarla. Il pittore è infatti sostenuto da una committenza privata colta ‒ i Barberini, gli Aldobrandini, i Massimi, i Colonna, il cardinale Gerolamo Mattei, il marchese Giustiniani ‒ che contribuisce alla sua affermazione. I rifiuti che subisce sono tuttavia il prezzo che deve pagare a livello pubblico per la sconvolgente novità delle sue idee artistiche e per il coraggioso anticonformismo delle sue scelte culturali, spirituali ed esistenziali.
Parallelamente al successo riemergono nel pittore quegli atteggiamenti trasgressivi e ribelli che avevano segnato la vita dell'artista già a Milano. Il 28 agosto 1603 si apre un processo contro Caravaggio e i suoi amici, colpevoli di aver scritto e diffuso sonetti offensivi ai danni del pittore e biografo Giovanni Baglione. In questa occasione Caravaggio manifesta il suo totale disprezzo verso l'ambiente artistico romano. D'ora in poi nei registri criminali della città il nome di Caravaggio compare sempre più frequentemente. L'esperienza romana si chiude nel 1606 quando, durante una rissa, Caravaggio uccide Ranuccio Tomassoni ed è costretto alla fuga. In questi anni difficili anche lo stile del pittore subisce mutamenti: i colori si fanno più scuri, le ombre più intense, le composizioni più affollate e i soggetti più drammatici. Gli ultimi anni della vita del pittore sono segnati da un'intensa attività. Le sue tappe a Napoli, a Malta, a Siracusa, a Messina, a Palermo e in seguito nuovamente a Napoli lo mostrano sempre immerso nel lavoro con un gran numero di committenze, chiaro segno che la fama del pittore deve ormai precederlo ovunque. A Malta Caravaggio dipinge una delle sue opere più straordinarie: la Decollazione del Battista. Un'opera drammatica sia per la violenza del gesto del carnefice che estrae il pugnale per staccare la testa del Battista, sia per un particolare inquietante, sintomo dell'estrema agitazione esistenziale di Caravaggio: il quadro presenta, caso unico, la firma del pittore, tracciata col sangue sgorgato dalla gola del santo.
Fra le ultime opere dipinte a Napoli vi è Davide e Golia: la tela, inviata a Roma al cardinale Scipione Borghese per appoggiare la sua richiesta di grazia, mostra Davide con la testa del gigante tagliata. La fisionomia di Golia sembra rappresentare un tragico autoritratto dell'artista, che vi prefigura la propria morte.
Nel 1610, infine, Caravaggio tenta di rientrare a Roma, ma muore a Porto Ercole dopo un altro arresto (per errore) e dopo aver ottenuto la grazia.

Caravaggio è un innovatore anche sul piano della tecnica. Dipinge dal vero o dal modello senza il sostegno del disegno. Con una punta traccia incisioni per fissare le linee salienti della composizione sulla preparazione della tela ancora fresca. Questa tecnica esclusiva è una delle prove per l'attribuzione del quadro al maestro. Dipinge in una stanza scura e con una finestrella laterale in alto, in modo da lasciar entrare solo uno spiraglio di luce diretta sullo scenario. Poi colloca uno specchio di fronte alla scena da raffigurare in modo da avere già la visione del quadro riflesso. Così dispone la composizione, quasi come un set fotografico, nei giusti rapporti fra le figure e le dimensioni del quadro.

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