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sabato 4 marzo 2017

Archeologia della Sardegna. L'Incubazione nella civiltà nuragica, una pratica terapeutica di 3500 anni fa. Riflessioni di Dolores Turchi

Archeologia della Sardegna. L'Incubazione nella civiltà nuragica, una pratica terapeutica di 3500 anni fa
Riflessioni di Dolores Turchi



L'incubazione a scopo terapeutico era assai praticata in Sardegna, a giudicare dai passi che si trovano nelle opere di alcuni scrittori classici e dai retaggi che di questa pratica sono giunti in varie maniere fino ai nostri giorni. Alcuni studiosi ne hanno scritto più o meno diffusamente (Della Marmora, Pais, Pettazoni, Pittau), affrontando l'argomento da diversi punti di vista, a seconda delle proprie convinzioni, ma non si sono fermati ad esaminare le tradizioni che con quel lontano rito potrebbero avere delle connessioni. Attraverso alcune consuetudini ancora vigenti o venute meno nel nostro secolo, è possibile risalire almeno in parte all'incubazione sarda e alle modalità con cui veniva praticata. Le vecchie credenze non scompaiono facilmente specie se son ben radicate nell'animo popolare; se mancano le condizioni primarie donde sono scaturite, si modificano e si adattano alle nuove situazioni, ma non si cancellano, anche se cambia la religione o l'assetto sociale. Questo si può notare per tante pratiche pagane che in modo sotterraneo, coperte da una leggera patina di cristianesimo, continuano oggi a sopravvivere. Nonostante i
tempi moderni e le nuove terapie fondate su basi scientifiche, chi non trova alcun rimedio ai propri mali si abbandona alla ricerca delle antiche cure, spinto da quell'esile filo di speranza che è l'ultimo a morire. Per quanto riguarda la Sardegna, il primo a parlare di incubazione fu Aristotele il quale scrisse che in quest'isola vi erano degli eroi presso le cui tombe andavano a dormire coloro che volevano liberarsi dagli incubi. La notizia viene ripresa da Tertulliano con queste parole: "Aristotele scrive che un certo eroe della Sardegna liberava dalle visioni coloro che andavano a dormire nel suo tempio "Ovviamente le visioni di cui bisognava liberarsi erano le allucinazioni, le ossessioni, le manie, ma anche la possessione da spiriti maligni e le convulsioni epilettiche, ovvero i disturbi del sistema nervoso e i gravi traumi psichici. Esistono altri passi significativi, anche se frammentari, di scrittori che nel commentare le opere di Aristotele, aggiungono alcuni particolari a queste notizie in modo da completare l'informazione, segni che ai loro tempi ancora si parlava del modo in cui l incubazione avveniva in Sardegna .Il filosofo Filipono, nel VI d.C. scriveva: "Alcuni scrittori hanno tramandato che certe persone afflitte da infermità se ne andavano lontano, presso (le tombe) degli eroi in Sardegna e si curavano; costoro quindi giacevano così per dormire per una durata di cinque giorni, dopodiché svegliandosi ritenevano che il momento (in cui si destavano) fosse lo stesso in cui si erano adagiati accanto agli eroi ". Mentre Semplicio, contemporaneo di Filopono, nel commentare lo stesso passo di Aristotele, aggiunge un'alta importante particolare: "Sino ai tempi di Aristotele raccontavano che dei nove fanciulli nati ad Eracle dalle figlie di Tespio il Tespiese, le salme rimanessero incorrotte ed integre e presentassero le sembianze di dormienti. Questi pertanto sono gli eroi (venerati) in Sardegna". Da questo passo appare chiaro che le salme erano imbalsamate; ma perché tali eroi restassero integri e incorrotti dovevano non solo trovarsi entro templi, notizia già fornitaci da Tettuliano, ma essere anche custodito. Vari studiosi hanno ipotizzato che questi eroi fossero deposti nelle tombe di giganti e che l'incubazione avvenisse nell'esedra di queste. A un'attenta riflessione sorgono però delle difficoltà di ordine praticato che urtano tale ipotesi. Se gli eroi fossero stati sistemati all'interno delle tombe di gigante, ben difficilmente si sarebbero potuti vedere come "dormiente" e osservare l'integrità dei loro corpi, data l'oscurità e la difficoltà a penetrarvi. Inoltre coloro che andavano a incubarsi sarebbero dovuti restare all'aperto, nell'esedra, come alcuni sostengono, e ciò avrebbe comportato difficoltà ancor più grosse a causa del sonno che durava cinque giorni. La durata non sorprende visto che anche oggi certi disturbi mentali si curano col sonno. Riesce però difficile credere che un sonno talmente lungo potesse farsi all'aperto, senza essere molestati da animali nocivi (cinghiali, avvoltoi, insetti velenosi) o da vicissitudini atmosferiche che, più che risanare, avrebbero, avrebbero procurato danno al fisico dell'incubato. Pertanto, l'esedra della tomba di gigante, ove certamente si svolgevano i riti funebri collettivi per la commemorazione dei defunti, risulta del tutto inadeguata per una terapia incubatoria. Pare più logico supporre che il luogo più idoneo per un simile rito fosse il nuraghe. Aggiungiamo inoltre che la tomba di gigante è una tomba collettiva ( in qualcuna si sono trovati fino a sessanta scheletri), situata quasi sempre vicinissima al nuraghe e quasi certamente destinata alla sepoltura della classe egemone del villaggio oppure ai discendenti del capo tribù che invece riposava entro il nuraghe-mausoleo. In questo caso pare più verosimile l'incubazione , favorita dalla penombra del monumento in cui erano esposte le spoglie , ben visibili, dalle eroe imbalsamato che pareva dormiente. Il luogo ben si presentava ad un sonno di parecchi giorni. Tale sonno richiedeva sicuramente l'assunzione di particolari sostanze soporifere in cui si è perduto il sapere nel corso dei secoli. Simili conoscenze della farmacopea non dovevano comunque essere di tutti. I nuraghi dove si praticava l'incubazione erano con tutta probabilità custoditi da quei sacerdoti e sacerdotesse che ci mostrano i bronzetti le cui conoscenze dovevano essere di tipo sciamanico, a giudicare dai sistemi terapeutici e oracolari in rapporto con mondo dei defunti. Costoro, oltreché essere i depositari di un antico sapere, erano anche gli intermediari tra il mondo dei vivi e quello dei morti, sia per quanto riguardava le guarigioni che per la divinazione. Per ottenere un sonno prolungato, quasi comatoso, si servivano probabilmente dell'essenza di alcune piante nepentacee e di alcuni fungi fimicoli che in Sardegna si trovano facilmente. Naturalmente tale sonno , abbinato al digiuno prolungato, potava una forte debilitazione dell'organismo. Al paziente in stato di incoscienza, ai primi sintomi di risveglio, bastava far assumere ulteriori dosi di certe sostanze perché ripiombasse nel sonno o in uno stato di trance. E' molto verosimile che gli incubati fossero controllati da esperti che si servivano anche di sistemi ipnotici per portare all'annullamento della persona attraverso la regressione fino alla nascita , per poi ricostruire l'identità dell'individuo eliminando paure ed ossessioni. Questa pratica, usata oggi dal alcuni psichiatri, era ed è utilizzata da molti sciamani. Solino ci parla di alcune donne con doppia pupilla, che esistevano in Sardegna:" nella Scizia vi nascono donne che sono chiamate bithiae; queste hanno negli occhi pupille doppie e annientano collo sguardo chi per avventura guardassero irate. Queste si trovano anche in Sardegna". Potevano essere queste le sacerdotesse che praticavano l'ipnosi come cura . La doppia pupilla sarebbe il ricordo trasfigurato dello sguardo intenso, ipnotico cui ricorrevano per certe terapie, quasi annientando il paziente sotto il loro potere e obbligandolo a chiudere gli occhi e a rilassarsi per poter regredire nel tempo, magari solo fino al momento in cui era incorso nel trauma . E' importante che Solino c'informi dell'esistenza di queste donne anche nella Scizia, terre dove sciamanesimo era assai praticato. Pare opportuno a questo punto riferire le esatte parole di Aristotele quando accenna all'incubazione in Sardegna, perché la pratica di cui si è parlato pare di poterla intuire dal suo passo L'esistenza del tempo non è neppure possibile senza quella del cambiamento; quando infatti noi non cambiamo niente entro il nostro animo o non avvertiamo di cambiare, ci pare che il tempo non sia trascorso affatto: la stessa sensazione dovrebbero provare quegli uomini addormentati in Sardegna , secondo la leggenda, accanto agli eroi, qualora si destassero: essi infatti accosterebbero l'istante in cui si assopirono con l'istante in cui si sono destati e ne farebbero una cosa sola togliendo via, a causa della loro insensibilità, tutto ciò che è intercorso". Tertulliano, riferendosi al rituale sardo di cui parla Aristotele, lo definisce opera dei demoni. E' possibile che egli fosse a conoscenza di come in Sardegna si svolgeva il rito incubatorio, probabilmente ancora in uso ai suoi tempi. I sistemi curativi dovevano essere diversi, a secondo della malattia accusata. In alcuni paesi della Sardegna esistono ancora certe donne dette deinas, che fanno la cosiddetta "medicina dello spavento" a chi, colpito da un forte shock, è oppresso da incubi e ossessioni. C'è chi recita sottovoce formule misteriose e traccia croci su un bicchiere colmo d'acqua che il paziente deve bere per metà e gettare il resto dietro le sue spalle, senza voltarsi. L'acqua bevuta potrebbe essere il lontano ricordo delle pozioni soporifere che si facevano bere per indurre al sonno .Gettare il resto dell'acqua dietro le proprie spalle può essere un gesto simbolico, lustrale, perché il male sia lasciato alle spalle del malato, senza che questo si volti indietro ,per non vederlo e ricordarlo. In realtà la guaritrice si basa sul potere suggestivo che può avere sul paziente, ma la sua gestualità dovrebbe trarre origine dall'antica terapia che si svolgeva presso la salma dell'eroe guaritore. Sullo stesso principio si basa anche un'altra terapia, con un rituale molto più evidente ,quasi sconcertante: in alcuni paesi della Planargia, specie a Sindia, la vecchia guaritrice, richiesta di fare la "medicina dello spavento", dichiara di non poter intervenire se nel paese non muore qualcuno, lasciando intendere che ci deve essere un defunto che deve portarsi via il male di cui si chiede di essere liberati. La stessa pratica veniva effettuata anche a Macomer. Nei casi di epilessia, considerata dagli antichi morbo sacro, la terapia che si usava nella zona del Barigadu fino agli anni 50-60, contemplava un vero e proprio contatto tra il vivo e il morto. A Samugheo, chi soffriva di questo male veniva introdotto nella stanza dove si trovava il defunto e, fatti uscire tutti i presenti, la guaritrice, dopo aver recitato le sue preghiere, poneva il paziente a contatto con la salma che si sarebbe portata via il male. In definitiva si tratta di un transfert dal corpo del vivo a quello del morto. Diverso doveva essere il sonno a scopo oracolare. In questi casi si andava a dormire presso le tombe non per essere privati da visioni ossessive, ma per ottener visioni a scopo terapeutico e divinatorio, che poi le sacerdotesse avrebbero interpretato. E' da supporre che in questi casi il sonno non dovesse essere prolungato. Alla tradizione dell'incubazione sembra collegarsi la pratica di dormire entro certi santuari durante alcune feste, pratica che è durata fino a due scoli orsono. Abbiamo testimonianze storiche in tal senso. Scriveva, nel XVI secolo, Sigismondo Arquer:"Quando i contadini celebrano la festa di qualche santo, dopo aver udito la messa nel suo tempio, per tutto il resto della giornata e della notte ballano entro il tempio, cantano canzoni profane uomini e donne intrecciano danze circolari, uccidono porci, arieti e armenti e con grande letizia si cibano di quelle carni in onore del santo. A Orgosolo, a Mamoiada e in tanti altri paesi della Barbagia, per liberarsi dallo shock causato da grossi spaventi (credere di aver visto lo spirito di qualche defunto, specialmente se morto di morte violenta mortu male ) si andava a rotolarsi per tre volte davanti al cimitero del paese, oppure davanti a tre chiese. La pratica riporta ancora una volta al ricordo dell'antica incubazione presso la tomba dell'antenato . Non è escluso che il rito in tempi lontani prevedesse la visita a tre nuraghi vicini, oppure un triplice giro, in segno di venerazione , intorno alla salma dell'eroe, come ancora si fa intorno al fuoco di Sant'Antonio. La tradizione popolare afferma inoltre che i nuraghi sono posti a gruppi di tre e che da uno se ne devono vedere altri due (sa tripide) Questo oggi non è possibile ovunque a causa delle distruzioni che vi sono state. Ovviamente i giri si saranno eseguiti per consuetudine, perché così si era sempre fatto, senza avere più coscienza degli antichi rituali da cui derivavano. E' appena il caso di ricordare che ancora oggi intorno ai santuari campestri, durante la festa del santo. Una determinata classe sacerdotale, sempre presente, doveva risiedere assai vicina al nuraghe mausoleo, che sicuramente era il luogo oracolare per eccellenza, oltreché luogo di iniziazione per i futuri sacerdoti sciamani. Si notano infatti intorno ai nuraghi più imponenti resti di capanne ove presumibilmente i sacerdoti avevano gli alloggi. Chi dava i responsi doveva essere la sacerdotessa, come in genere avveniva in tutte le antiche civiltà. Simplicio aggiunge infatti, nei Commentatari agli otto libri di Aristotele, che "i luoghi dove erano deposti e conservati i cadaveri dei nove eroi che Ercole ebbe dalle Tespiesi e che vennero in Sardegna con la colonia di Iolao, diventarono oracoli famosi". Da ciò si può dedurre che il nuraghe, sorto inizialmente come mausoleo in cui si venerava l'eroe divinizzato, divenne anche tempio oracolare. D'altronde incubazione e divinazione erano strettamente legate, giacche i responsi, come pure le guarigioni, si credeva fossero dati dagli spiriti dell'oltretomba. Probabilmente vi erano periodi diversi stabiliti per le differenze richieste. Non è improbabile che questi periodi coincidessero d'inverno, quando il sole indebolito comincia a rinascere, e col solstizio d'estate. La festa di san Giovanni, è infatti caratterizzata dai pronostici, dalla raccolta delle erbe medicamentose, dal bagno purificatore nei fiumi, che corrisponderebbe alle antiche lustrazioni prima di essere ammessi alla presenza dell'oracolo, dai fuochi nei quali si bruciavano gli animali offerti in sacrificio.
La pratica dell'incubazione deve essersi protratta a lungo, quasi certamente fino all'avvento del cristianesimo, anche se questo non riuscì se non molto tardi, a sradicare dagli animi ancora profondamente pagani l'usanza di andare a dormire presso il nuraghe o nelle capanne annesse. E' da presumere che a quei tempi il mausoleo non contenesse più in bella mostra la salma dell'eroe. Con la nuova religione si ebbero trasformazioni profonde. Dal nuraghe destinato al culto dell'antenato e agli oracoli, ed ai templi a megaron destinati al culto delle altre divinità, si passò al tempio cristiano, dove continuò ancora per secoli la consuetudine di dormire entro la chiesa dedicata al santo patrono, destinato a sostituire il culto dell'eroe traditore. Dormire entro le chiese, ripetutamente vietato dai sinodi sardi, sembra essere l'ultimo retaggio di un costume precristiano protrattosi nel tempo anche quando se ne era smarrito il significato originario. In Corsica si costuma ancora portare coloro che sono afflitti da turbe psichiche nel santuario di San Martino, a Grossa, presso Sartene, l'8 settembre e lì farli dormire per una notte. Anche il dormire nelle cumbessias delle chiese campestri richiama alla mente l'antico rito incubatorio che evidentemente andava praticato in luoghi chiusi, adiacenti al tempio. Le casette che ancora circondano alcuni santuari campestri, oltreché cumbessias sono chiamate anche muristenes, termine certamente molto più antico, che ricorda non solo la divinazione, ma anche e soprattutto la guarigione dagli incubi. Esistono anche alcuni nuraghi che portano questo nome (Dorgali, Sagama, ecc.). La pratica di dormire presso la tomba dell'antenato era abbastanza comune anche nell'Africa Settentrionale. Erodoto la ricorda per i Nasamoni, in Libia: "...esercitano la divinazione recandosi presso le tombe degli antenati e, dopo aver pregato, vi si addormentano sopra e si conformano alla visione avuta in sogno" . Sia la pratica dell'incubazione sia quella oracolare sono entrambi riconducibili al culto dell'antenato, il cui riflesso si può constatare ancora oggi nel perpetuare il nome degli avi attraverso la prole, nella cena dei morti, nel pane e nella carne che si offrono in suffragio dell'anima del defunto durante gli anniversari. Certe usanze che riteniamo semplici superstizioni, alle quali non sappiamo dare una motivazione logica, molto probabilmente sono da ricercare in questa direzione. Un'altra notizia che può gettare luce sulla destinazione dei nuraghi riguarda il loro orientamento. E' noto a tutti che la loro apertura è quasi sempre rivolta a sud o sud-est, cioè verso il sole, come le tombe megalitiche degli altri popoli. Si è sempre pensato che tale orientamento avesse un carattere religioso: l'auspicio che l'anima del defunto potesse rinascere come rinasce il sole. Il concetto di morte e rinascita, attraverso l'osservazione della natura, era d'altronde molto sentito nelle antiche civiltà agrarie, a cominciare da quella egiziana fino a quella sumerica, che su questo principio fondarono il culto del dio che ogni anno muore e rinasce. Ma oltre a questa concezione religiosa è probabile che l'orientamento dell'ingresso ai nuraghi fosse suggerito anche da una osservazione di ordine pratico. Ancora oggi i vecchi pastori che sono vissuti a contatto diretto con la natura e ne conoscono i segreti, affermano che se un uomo o una bestia muoiono" conca a sole, ossia col capo rivolto verso sud o sud-est, non vengono toccati né da animali né da insetti, anche se il rinvenimento avviene dopo parecchi giorni. Se però la posizione in cui l'uomo o la bestia muoiono non è" conca a sole", il corpo sarà preda di rapaci e verrà presto ricoperto da mosconi, formiche e insetti di vario genere. Questa informazione, che oggi i giovani pastori hanno quasi ovunque dimenticato, sicuramente era ben nota all'uomo cacciatore e allevatore del neolitico e della protostoria, essendo il frutto dell'osservazione continua della natura con la quale si viveva a contatto, e pertanto l'orientamento del cadavere era molto importante per la sua integrità. Se questo concetto lo trasferiamo alle tombe, si capisce che anche l'orientamento di questi edifici non poteva che essere rivolto verso il sole. Pertanto è da presumere che il corpo imbalsamato dell'eroe che giaceva entro il nuraghe, con tutta probabilità fosse esposto al centro della camera funeraria, col capo rivolto verso l'entrata al monumento. Anche le chiese paleocristiane, come pure gli antichi cimiteri, seguivano questa direzione, che era poi la stessa verso cui era orientata la facciata dei templi greci e romani. Dal IV secolo in poi nelle chiese cristiane si rivolse verso l'est non più la facciata, ma l'abside. Come avviene in tutte le religioni, quando la fama delle guarigioni si espande e la gente accorre in gran numero, si presenta la necessità di ampliare il luogo, facendolo diventare un tempio vero e proprio. Così dovette accadere dei nuraghi, molti dei quali furono ampliati a seconda delle necessità, prevedendo anche alcune nicchie all'interno, forse per la sepoltura di qualche familiare o dei membri più alti della classe sacerdotale. Pratica che continuò attraverso il tempo, se anche le chiese cristiane contengono al loro interno le urne degli uomini illustri. Questo ampliamento dal nuraghe tomba al nuraghe tempio risulta molto chiaramente da un passo del Solino: "Gli Iolesi, da lui così chiamati (da Iolao), aggiunsero un tempio al suo sepolcro, poiché …aveva liberato la Sardegna da tanti mali". Evidentemente la tomba di Iolao era divenuta da subito luogo di venerazione, e l'eroe divinizzato era diventato anche eroe guaritore. Da lui partiva la pratica incubatoria e a lui con tutta probabilità alludeva Tertulliano nell'accennare a un eroe in particolare che liberava dagli incubi e dalle ossessioni (incubatores fani sui visionibus privantem). Se inizialmente l'incubazione avveniva entro il tempio, è da supporre che in tempi successivi si siano seguite regole più severe: con tutta probabilità il malato veniva solo ammesso alla presenza dell'eroe che sicuramente doveva toccare e girargli intorno per tre volte, in segno di venerazione, mentre l'incubazione doveva avvenire in altri locali annessi al tempio, essendo questo ormai divenuto anche luogo oracolare. Il nuraghe Losa non conserva solo il nome di tomba (nome spagnolo, certamente tradotto più volte da altri nomi che dovevano avere lo stesso significato), ma tutto il complesso sembra rispondere a questa esigenza. Molte pratiche, sia terapeutiche che oracolari, dovevano essere simili a quelle del mondo cretese-miceneo, come lo erano pure certe tradizioni, compreso il ballo tondo e s'attittu,oltreché l'architettura dei templi a megaron, che numerosi vengono alla luce in varie parti dell'isola (per il culto degli dei celesti, diverso da quello ctonio), come pure i templi a pozzo per il culto delle acque e la tholos dei nuraghi, assai simile al più noto mausoleo di Micene: la tomba di Agamennone o tesoro di Atreo. E' probabile che in tempi assai lontani siano approdate nell'isola popolazioni orientali alle quali si aggiunsero successivamente genti micenee, molto prima che i Fenici vi stabilissero le loro colonie. Quando dai nuraghi scomparvero le salme con i loro trofei, forse interrate in altri luoghi per tema di profanazione, la frequentazione della tomba-tempio dovette continuare ancora per secoli, se la nuova religione sentì l'esigenza di cristianizzare i nuraghi dando loro nomi di santi (M.Pittau ne conta 280 dedicati a santi e 14 chiamati cresia ). Ove non fu possibile sovrapporre l'edificio cristiano al vecchio nuraghe lo si costruì molto vicino. Una strategia che fu frequentemente adottata verso i templi dei vari popoli. Ci resta la lettera che il papa Gregorio Magno scrisse, all'alba del settimo secolo, ai suoi missionari inviati a evangelizzare la Britannia, nello stesso periodo in cui veniva evangelizzata la Sardegna:"Non i templi si distruggano ma gli idoli che vi si trovano. Si aspergano i templi con acqua benedetta, si costruiscano altari e vi si pongano le reliquie, perché, se i templi sono ben costruiti, è necessario trasformarli dal culto dei demoni al culto del vero Dio, in modo che la gente, non vedendoli distrutti, abbandoni nel suo cuore l'errore e conoscendo e adorando il vero Dio, ancora più volentieri nei luoghi dove era solita andare". Dobbiamo probabilmente a Gregorio Magno il fatto che i nuraghi non siano stati distrutti ,anche se furono privati degli idoli che dovevano contenere. Molti nuraghi, comunque, hanno restituito diversi idoli anche in tempi recenti. Trattandosi di luoghi sacri, i nuraghi non furono distrutti né dai Cartaginesi né dai Romani. Non disturbavano le loro conquiste e non c'era ragione di menzionarli nei resoconti delle loro battaglie. Semmai se ne servirono per seppellirvi i loro morti illustri, visto che spesso il nuraghe è al centro di necropoli in cui si trovano anche tombe puniche e romane . Non dovrebbe meravigliare se nell'effettuare lo scavo di qualche nuraghe interamente ricoperto di terra vi si potesse trovare al suo interno anche qualche edicola punica introdotta durante la dominazione cartaginese, magari per rendere il massimo onore alla salma d'un capo. Che i nuraghi fossero tombe era d'altronde l'opinione più diffusa tra gli studiosi dei secoli scorsi. Ricordiamo fra i tanti il Madao, il Manno, il Peyron, il Mimaut, il Bresciani, il Petit-Radel, mentre per l'Angius erano edifici religiosi, come pure per i Della Marmora. A cancellare ogni traccia della destinazione dei nuraghi provvidero i fervorosi cristiani, avvolgendone la memoria nel totale silenzio. Sono rimasti però alcuni nomi che sono la spia della loro origine: alcuni di loro sono ancora denominati Sa tumba (Benetutti, Olbia, Orune, ecc. ), Nuraghe su Musuleu (San Nicolò Gerrei,) , Nuraghe Mortos (Ghilarza) , Nuraghe de is animas (Santadi), senza considerare i numerosi altri che portano il nome di altare o di cattedrale(Sa Sea). Il Nuraghe Adoni (Villanovatulo) riflette nel nome l'ideologia della morte e rinascita ; il Nuraghe Sonnu (Paulilatino) sembra aver conservato nel suo nome la funzione a cui era adibito. Circa quaranta nuraghi sono ancora chiamati Sa "Omo"es'Orcu, ovvero la casa di Orcus, la massima divinità degli inferi nel mondo greco-miceneo, che i romani chiamavano Plutone. Alcuni portano ancora il nome della luna.:Selene, l'antico nome greco, tradotto in periodo romano con quello di Diana. Il culto lunare doveva essere preponderante, essendo la luna la manifestazione centrale della religione ctonia che metteva in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti. Molto significativo è anche il nome del Nuraghe Mercurio. Tale nome è la chiara traduzione latina di Ermes, antico Dio del pantheon miceneo che alla qualifica di messaggero degli dei abbinava quella di accompagnatore delle ombre all'Oltretomba. Per questo veniva chiamato Psycochopompos (guida delle anime). Essendo mediatore tra i vari mondi: quello degli dei, degli uomini e dei morti, egli poteva passare con facilità da uno spazio all'altro, come affermano di fare gli sciamani. Pertanto, se il nuraghe era anticamente a lui dedicato, l'attività di questo dio ben riflette la funzione del monumento. Moltissimi nuraghi sono ancora denominati Sa Mura, rivelando attraverso quel nome la loro funzione oracolare. Sa mura, ovvero la Moira, detta anche Crateide(alcuni nuraghi sono denominati anche Cratula, Crastula, Grastula) era la dea che decretava il destino. La si consultava attraverso gli oracoli, che, quando non poterono più funzionare entro i nuraghi, si stabilirono nelle grotte, come lasciano intendere alcune leggende medioevali. E' rimasta in Sardegna, fino alla prima metà di questo secolo, l'usanza di confezionare, la domenica delle palme, un particolare oggetto, intrecciato con striscioline di foglia di palma, lungo 3-4 cm, detto sa mura; lo intrecciavano gli uomini in chiesa, nel momento solenne in cui si cantava il "passio", e lo donavano alle persone più care: alla sposa o alla madre, che lo appendeva al rosario, accanto al crocefisso, custodendolo con grande cura. Quelli fatti con più perizia erano simili ad un tronco di cono, o di piramide, ma in tutti l'intreccio ricordava nella forma un piccolo nuraghe o una torre. E' difficile stabilire oggi se quell'oggetto, dal nome ambiguo, volesse designare la Moira come divinità aniconica, oppure nuraghe che era ritenuto la sua sede. Il suo nome potrebbe anche aver subito lo scambio tra la n e la m, non escludendo che in tempi lontani fosse chiamato nura per indicare il tempio ove la Moira tesseva la buona e la cattiva sorte. Per questo bisognava propiziarsela, sia che l'oggetto rappresentasse la divinità o il suo tempio. Da molti secoli la gente non né conosce più l'origine, ma tutti sanno che Sa Mura portava fortuna e allontanava i mali. Aveva nomi diversi, a seconda dei paesi, ma il più diffuso era Mura, che in alcuni centri, quando non se ne comprese più il significato, divenne murichessa (gelso). A ricordare l'antica Moira sono rimaste le leggende che fanno abitare in molti nuraghi una fata che tesse in un telaio d'oro, lontano e confuso ricordo di questa dea che intrecciava le trame della vita e tesseva il destino degli uomini. Non è da escludere però che i neoconvertiti al cristianesimo, nell'intrecciare in chiesa sa mura di palma, pensassero di tessere loro stessi la buona sorte, con l'aiuto del crocefisso cui veniva legata.


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Nell'immagine: La Tomba di Giganti "Madau" a Fonni

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