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sabato 11 marzo 2017

Archeologia. Quali aristocrazie nella Sardegna dell’Età del Ferro? Riflessioni di Carlo Tronchetti

Archeologia. Quali aristocrazie nella Sardegna dell’Età del Ferro?
di Carlo Tronchetti

(Atti della XLIV riunione scientifica. La preistoria e la protostoria della Sardegna. Cagliari, Barumini, Sassari 23-28 novembre 2009)

Giovanni Lilliu, nella sua ricostruzione della civiltà nuragica pone, nell’età del Ferro, la “stagione delle aristocrazie” (Lilliu 1986). Questo concetto e questa definizione sono entrati nell’uso comune e sono stati utilizzati da parte di un gran numero di studiosi del mondo nuragico, senza mai mettere in discussione l’enunciato di partenza; pare opportuno, adesso, rivedere la situazione oggettiva dell’isola in questo periodo, così come ricostruibile dalla documentazione archeologica esistente, basata sul supporto di ricerche metodologicamente più meditate e su analisi approfondite delle manifestazioni aristocratiche in ambito mediterraneo, grazie a scoperte di notevole peso. Il fenomeno delle aristocrazie mediterranee è stato abbondantemente ed approfonditamente studiato (da ultimo Riva e Vella 2006), sia in generale che soprattutto nelle sue manifestazioni particolari e locali. È fuor di luogo in questa sede ripercorrere le vicende delle concezioni aristocratiche dalla Grecia al lontano Occidente, che vedono una componente fondamentale nel contatto con il Vicino Oriente, trasmissore di ideologie e di oggetti di pregio, tramite i quali, unitamente a rituali di concezione locale, queste ideologie si manifestavano. Sintetizzando e quindi anche banalizzando, possiamo enucleare alcuni elementi abbastanza costanti, quali le sepolture principesche, talvolta con il rituale omerico della
deposizione dei resti incinerati in un’urna bronzea coperta da un telo di lino, attestata ad esempio a Lefkandi e Casale Marittimo, e soprattutto il consumo rituale del vino con lo specifico servito per prepararlo e consumarlo, diffuso sino al mondo celtico.

La sepoltura principesca di un individuo, cui si potevano accostare altre sepolture di membri della stessa famiglia, era qualificata dalla deposizione di oggetti di grande pregio, sia esotici che locali, accuratamente selezionati in uno o più nessi ideologici, che esprimevano i valori dello status di aristocratico. Nel mondo etrusco-italico i “beni di lusso”, di prestigio, si qualificano in massima parte, ma ovviamente non solo, come oggetti importati, sia dal Vicino Oriente che dal mondo ellenico. I keimelia di origine e derivazione orientale, sia essa ellenica o vicino-orientale, assieme a specifici prodotti locali, vengono raccolti e tesaurizzati in analogia con i costumi descritti nell’epica omerica (Naso 2000). Questi fenomeni, con l’emergere del ceto aristocratico, pur avendo ovviamente radici più antiche, si manifestano pienamente nel Mediterraneo occidentale nel corso dell’VIII sec. a.C. Mauro Menichetti, anni addietro, in un bel volume sulle aristocrazie tirreniche, ha descritto lo strato sociale definito “aristocratico in virtù del possesso di un surplus economico, di perizia e capacità guerriere largamente esaltate, di una cultura coerentemente strutturata e funzionale al proprio ruolo sociale”. Io mi sentirei di ampliare e meglio specificare questa denominazione, definendo l’aristocrazia anche come “detentrice di valori condivisi dalla comunità, che ostenta in un contesto ideologico di esaltazione e riproduzione della stirpe”. Andiamo ad esaminare più da vicino la situazione della Sardegna. È da premettere che parlare di “situazione della Sardegna” in generale non ha molto senso, a causa dell’articolata conformazione geografica e geologica dell’isola. Diverse, e in maniera notevole, sono le potenzialità di zone come l’Oristanese, con facili approdi, dotato di vaste aree coltivabili, zone adatte alla pastorizia ed all’allevamento, stagni con ampie possibilità di caccia e pesca, con entroterra sufficientemente ricco di risorse minerarie, terminale di vie di penetrazione verso l’interno più profondo dell’isola, rispetto a queste zone più interne, aspre e montuose, adatte praticamente solo alla pastorizia ed alla estrazione di minerali, ove presenti. Le poche indagini territoriali compiute con metodologie aggiornate, ed edite specificando la metodologia, i fini attesi ed i risultati ottenuti, ci mostrano come situazioni zonali differenziate offrano una risposta diversa alla ricerca. Purtroppo queste indagini sono assai limitate, ma comunque fondamentali per comprendere alcuni aspetti, fra cui il primo è proprio la mancanza di univocità. I pochi scavi in contesti dello stesso periodo non si distaccano da questa visione, offrendo situazioni parzialmente distinte tra le zone, ad esempio, dell’Oristanese e del Sulcis, riguardo al rapporto tra le genti esterne all’isola e le comunità indigene. Le scoperte straordinarie, adesso non più isolate, di Sant’Imbenia, e quelle di Huelva, importanti soprattutto per la quantità di materiale restituito, affiancate ai ritrovamenti africani, siciliani, cretesi, quantitativamente minori ma qualitativamente altrettanto significativi, ci portano a prospettare concretamente e verosimilmente un rapporto sostanzialmente paritario tra Fenici (usando questo termine nella sua accezione omerica) e comunità tardo-nuragiche. In realtà non è disagevole riconoscere un significativo sbilanciamento a favore di quest’ultime nella gestione del territorio e delle sue risorse nei confronti degli “altri”, ma l’analisi di questo, adesso, ci porterebbe su un terreno troppo ampio e basterà accennare alla sua concreta esistenza, che non è senza valore per quanto dirò. La veicolazione di vino prodotto in Sardegna, contenuto in anfore prodotte in Sardegna su modelli orientali, mediante navi fenicie con probabile equipaggio misto, ci riporta ad una sorta di joint-venture, per usare un termine moderno assolutamente inapplicabile a situazioni antiche, ma che rende immediatamente l’idea di questa unione di forze produttive e “commerciali” per uno scopo comune. È indubbio che i contatti tra i Fenici ed i Sardi nell’VIII sec. a.C. si fanno sempre più forti ed intrecciati, ed i rapporti privilegiati intessuti da alcune comunità indigene con gli stranieri possono aver portato, se non proprio alla nascita di marcati processi di differenziazione tra comunità e all’interno della comunità stessa, quantomeno all’accelerazione ed accentuazione di fenomeni del genere, già in lenta attuazione. Sull’altro lato, l’atteggiamento dei Fenici rispetto al territorio, le sue risorse e chi le gestiva, si differenzia in ragione del diverso atteggiamento di queste comunità, come le ricerche succitate mostrano con chiarezza. Andando a cercare i segni della nascita delle aristocrazie, così come sono noti da altre regioni mediterranee, li troviamo con estrema difficoltà. Il rituale di sepoltura nell’età del Bronzo è contrassegnato dalla tumulazione collettiva nelle comunitarie Tombe dei Giganti. Nell’età del Ferro appaiono per la prima volta sepolture singole, con deposizione dei defunti inumati in pozzetti. Si tratta di un cambiamento che non è fuori di luogo definire epocale: dalla tomba collettiva alla tomba individuale. Si incrementano, dallo scorcio del IX secolo in poi, gli oggetti esterni, molti dei quali si qualificano come beni di prestigio, provenienti sia dal Vicino Oriente, che dalla penisola italiana. È interessante e molto significativo andare ad esaminare i luoghi di ritrovamento di questi materiali esotici e pregni di significato. A parte alcune fibule, la quasi totalità proviene da santuari o comunque luoghi di culto. I torcieri bronzei di tipo cipriota con fusto a corolle rovesciate si rinvengono presso il nuraghe S’Uraki di S. Vero Milis, dove scavi recenti hanno messo in luce una zona cultuale sorta alla fine del Bronzo-inizio Ferro, nel santuario Su Monte di Sorradile, spostato pochi chilometri a NE di S’Uraki, lungo una via di penetrazione verso l’interno dell’isola, e nel grande santuario di S.Vittoria di Serri. I tre calderoni bronzei rinvenuti impilati a Sardara provengono dalla capanna delle adunanze nel santuario di Sant’Anastasia, legato ad un tempio a pozzo. Dalla grande e purtroppo poco conosciuta zona sacra di Nurdole nel territorio di Orani giungono almeno due brocche fenicie in lamina di bronzo. Dal nuraghe Su Igante di Uri proviene una coppa bronzea, vero e proprio pastiche che assembla pezzi di oggetti diversi, anche “importati”, in un insieme di gusto “barbaro”. Fibule si trovano in maggiore quantità, anch’esse, come detto, in gran numero presso santuari, dove possiamo ipotizzarle connesse all’offerta di manti esotici, forse donati da donne straniere andate in sposa a capi di comunità sarde. Quello che è importante e significativo è che questi beni di pregio sono tutti concentrati in spazi comunitari santuariali. Nessuno, sinora, è stato trovato in una struttura che potremmo definire “privata” a connotare un singolo individuo. Non è assolutamente fuor di luogo rilevare anche come i beni di pregio importati non hanno una sfera ideologica precisa di riferimento. Un elemento largamente diffuso ed attestato come distintivo delle aristocrazie è, come detto, il consumo del vino, ma il suo consumo in forma sociale non sembra avere attinto alla connotazione rituale che lo contraddistingue altrove. Per intenderci, un “servito per bere” esotico non è mai stato ritrovato in contesti indigeni. Gli strumenti topici, il contenitore per miscelare la bevanda e le coppe per assumere il liquido, abitualmente in bronzo o in metalli preziosi, che si ritrovano altrove, in Sardegna sono totalmente assenti. Per quanto ne sappiamo, quindi, il consumo rituale del vino non è attestato. Oppure, se lo è, è nascosto sotto forme esclusivamente locali che non recepiscono assolutamente ideologie esterne, e lo mascherano ai nostri occhi. Se andiamo ad esaminare le tombe vediamo che, anche se singole, si configurano praticamente paritarie, indistinte l’una dall’altra, senza che dei semata possano individuarle e differenziarle. Non abbiamo esempi di tombe principesche in cui la persona sociale dell’individuo defunto risalti, ostentando i propri valori, emergendo e distinguendosi dalle altre. Anche il caso, sinora unico, di Monte Prama (Tronchetti e Van Dommelen 2005), che pure sembra maggiormente accostarsi alle manifestazioni dell’ideologia ostentativa aristocratica note altrove, è, in realtà, molto particolare. La statuaria e gli altri elementi (modelli di nuraghe, betili) contraddistinguono gruppi di tombe, identiche tra loro, in cui sono sepolti uomini, donne ed individui giovanili in età post puberale, senza alcun raggruppamento o criterio distintivo. Non spicca una tomba sulle altre; quello che risalta e viene esaltata è la famiglia, per usare un termine volutamente generico, il gruppo, la struttura parentelare, non il singolo. Questo contrasta radicalmente con la situazione descritta in una sintesi recente di Peroni (2004), non riferita alla Sardegna, in cui lo studioso mette in evidenza come già nell’età del Bronzo non si individuino necropoli in cui si aggregano, mescolandosi, individui dei due sessi e di gruppi di età diversi: nel tessuto funerario l’unità di base è un gruppo di individui portatori di uno stesso ruolo. La differenza con la situazione sarda appare immediatamente notevole. Se adesso porgiamo attenzione ai contesti abitativi si può notare agevolmente l’assenza di abitazioni che si distinguono dalle altre in modo evidente. Nei villaggi sinora indagati si affermano, dallo scorcio dell’età del Bronzo Finale, aggregati cellulari di capanne, le cosiddette capanne con corte centrale, di cui si rinvengono, all’interno del medesimo insediamento, diverse unità. Difficilmente potremmo considerarle abitazioni privilegiate di un aristocratico; l’ipotesi che mi sembra maggiormente ragionevole è che siano nuclei destinati ad una famiglia allargata, o simile aggregato. Sempre nei villaggi spiccano le note “capanne delle adunanze”, strutture di maggiori dimensioni delle altre, contraddistinte da un bancone lungo le pareti e, abitualmente, dalla presenza di un modello di nuraghe posto su un basamento centrale o in una nicchia. Secondo i dati di scavo editi l’affermazione di queste capanne si ha durante l’età del Ferro, e lo scavo di quella nel villaggio del Nuraghe Palmavera offre lo spunto a interessanti considerazioni. Alberto Moravetti, infatti, individua lo spazio per almeno 43 individui seduti. Appare verosimile ritenere che tali individui fossero i capo-famiglia del villaggio, o di una più ampia comunità, raccolti in riunioni di valore “politico”, sotto l’egida del nuraghe, vero e proprio segno della memoria, immanente nel territorio, divenuto, al tempo stesso, luogo di culto, oggetto di culto e altare dove il culto stesso veniva prestato. Altre strutture di rilievo in ambito abitativo non esistono, o non se ne sono sinora trovate. Fenomeni, anche se cronologicamente posteriori, come la regia di Murlo o il Cancho Roano iberico, in Sardegna sono, allo stato attuale, impensabili. Se, quindi, sintetizzando, individuiamo lo stile di vita aristocratico di modello eroico che pone l’accento ostentativo sul banchetto con il consumo rituale del vino, sulla guerra e sulla ‘bella morte’ omerica e osserviamo come questi valori vengano palesati attraverso particolari strutture tombali con obliterazione di una determinata selezione di oggetti pregiati ed esotici, vediamo chiaramente come in Sardegna non si possa attualmente riscontrare niente di tutto ciò. Sembra, da quanto detto sopra, di poter ipotizzare che la società sarda dell’Età del Ferro trovi i suoi valori nella comunità, e nel gruppo familiare, più che nel singolo individuo. Quello che mi pare chiaro ed evidente è che questa società sarda dell’età del Ferro, almeno nelle sue fasi di IX e VIII sec. a.C., si caratterizza come molto selettiva nei confronti dell’esterno, recependo ed adottando con estrema oculatezza modelli e stili di vita. È proprio al termine di questo periodo, cioè allo scorcio dell’VIII secolo, con l’inizio di quello che si definisce Orientalizzante antico, che si pone la manifestazione più eclatante riferibile a modelli aristocratici, e cioè la statuaria connessa con la necropoli di Monte Prama. Indubbiamente l’ideologia della statua funeraria ed onoraria in pietra di grandi dimensioni è giunta dal Vicino Oriente, analogamente a quanto accade nella penisola italiana, rivestendosi di un aspetto formale aderente alle iconografie locali, ma le analogie con la statuaria che connota le sepolture dei principes etruschi ed italici si arrestano a questo punto. Difatti le statue non connotano la tomba di un individuo, il princeps, capostipite della dinastia di cui diviene antenato, ma sono poste come semata di necropoli in cui, come detto, sono sepolti indistintamente uomini, donne ed adolescenti. Non viene esaltata una individualità precisa e determinata, ma quella che possiamo chiamare la famiglia, il clan, la stirpe, che viene collegata ai propri mitici antenati dai betili, prelevati da una più antica tomba di giganti. Non è questa la sede per approfondire il discorso su Monte Prama, e quindi mi limiterò a ribadire il fatto che questa “aristocrazia” tardo-nuragica dello scorcio dell’VIII secolo e dei primi decenni del successivo, tende a connotare non un singolo ma una stirpe. Senza dubbio il territorio del Sinis è assai favorevole al contatto ed alla reciproca integrazione di genti diverse e un fenomeno come quello di Monte Prama ci indica con sufficiente chiarezza, per dirla con parole banali, chi era che comandava. Almeno sino ai primi decenni del VII secolo il territorio ed i contatti con l’esterno erano in mano ed erano gestiti dalle comunità nuragiche dell’età del Ferro, che erano potenti, ricche, vive e vitali. Non solo gestivano il territorio e le sue risorse, e selezionavano con cura i materiali esotici di pregio che acquisivano, ma li producevano. Questi beni, le celebri navicelle bronzee, trovano la loro destinazione in tombe, talora prestigiose principesche, dall’Etruria Settentrionale alla Campania, e nei grandi santuari emporici (Gravisca, Capo Colonna) in un arco di tempo, come tutti i dati a nostra disposizione confermano, che va dal tardo Geometrico all’Orientalizzante finale. In queste potenti comunità esistevano famiglie che si distinguevano dalle altre, per comprendere i cui valori è necessario abbandonare i parametri noti in altre aree mediterranee, pur tenendoli presente per riscontrare diversità ed eventuali affinità, e ricercare i modi di espressione dei propri specifici valori.


Fonte:  file:///C:/Users/oem/Downloads/Quali_aristocrazie_nella_Sardegna_dellet.pdf

1 commento:

  1. Chiaramente in una Comunita di persone della stessa stirpe , emergono individui che per capacità intellettive o fisiche sono superiori ad altri loro simili .Questi individui assumono di fatto una LEADERSHIP nella loro Comunità e quindi ne diventano PUNTI di riferimento , in quanto sono più forti nella lotta , o sono più bravi a miscelare i minerali per produrre metalli , e nel loro campo diventano figure di riferimento , i loro DISCENDENTI se sono bravi come i padri , ne continuano l'OPERA . Cosi pian piano si formano delle " aristocrazie " di merito . Naturalmente questi sono quelli che trattano meglio anche le questioni e liti con le altre Tribu' o CLAN .Possono benissimo abitare anche in abitazioni simili ai loro compagni, ma pian piano Hanno bisogno di Spazi Maggiori per operare e quindi le loro Capanne diventano più grandi e meglio fornite ---così si forma una ELITE naturalmente

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