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lunedì 19 giugno 2017

Archeologia della Sardegna. La Civiltà Nuragica nell'età del Ferro: organizzazione, rituali, economia e piano urbanistico dei sardi di 3000 anni fa. Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Archeologia della Sardegna. La Civiltà Nuragica nell'età del Ferro: organizzazione, rituali, economia e piano urbanistico dei sardi di 3000 anni fa.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano


Intorno al 1000 a.C., al passaggio dall'età del Bronzo a quella del Ferro, in Sardegna prosegue il controllo delle risorse da parte dei nuragici, ma inizia una fase con radicali cambiamenti nelle architetture dei vivi e nelle procedure funerarie. I sardi non costruiscono più torri e si dedicano allo smontaggio sistematico delle opere murarie in abbandono per realizzare nuovi edifici con funzioni dedicate ad assemblee pubbliche. Le strutture nascono nelle immediate vicinanze dei nuraghi e sono organizzate con un piano urbanistico preciso: consentire alla comunità di riunirsi nei pressi dei templi a pozzo o, comunque, in una zona pubblica. E’ l’epoca in cui floridi scambi commerciali portano nell’isola genti e merci da ogni parte del Mediterraneo. L’obiettivo è quello
di istituire zone facilmente controllabili per sviluppare un sistema di traffici a largo raggio, concentrando nei mercati locali le risorse da scambiare. Gli archeologi portano alla luce grandi edifici circolari dotati di banconi per sedersi, piazze e strutture protette per scambiare le merci più preziose. In questi luoghi si riunivano i leader delle comunità e i rappresentanti del popolo per decidere le politiche economiche, militari, la giustizia e i trattati di pace o di guerra. Erano il “foro” dei nuragici, e la protezione delle divinità, chiunque fossero, era invocata attraverso il “totem” locale rappresentato da un piccolo nuraghe in pietra posizionato su un basamento al centro di questi edifici assembleari. La presenza di una vasca per i riti con l’acqua suggerisce pratiche religiose per propiziare la benedizione delle scelte prese.  Le ceramiche dell’epoca sono eleganti, e le derrate alimentari più squisite sono acquistate insieme ai contenitori che diventano così dei veicolatori di “moda fittile”: l’olio e il vino hanno le loro anfore specifiche. In questo periodo, con il prosperare dei commerci, i prodotti della metallurgia e dell’artigianato raggiungono ogni angolo del Mediterraneo, dalle coste del Vicino Oriente a quelle iberiche, nordafricane e atlantiche. Le capanne nei villaggi aumentarono di numero e si assiste a un incremento demografico, con la trasformazione progressiva dei nuraghi in luoghi di culto dove l’acqua e il fuoco diventano protagonisti. Nella stessa epoca cambiano i rituali funerari, con il passaggio dalle grandi tombe collettive, conosciute con il nome di Tombe di Giganti, a sepolcri singoli scavati in piccole fosse, a volte protetti da lastre quadrangolari in pietra che formano una cista litica, ossia una sorta di sarcofago. Le genti si uniformarono progressivamente verso una cultura che faceva dei traffici economici il fulcro della vita quotidiana, e non è raro trovare delle comunità nelle quali sono presenti appositi spazi per il commercio del bestiame. E’ evidente che le rivalità fra tribù furono frequenti e portarono a piccoli conflitti per le contese dei fertili territori, delle miniere e delle baie più pescose. Per il mezzo millennio successivo, abbiamo la certezza che l’isola fu amministrata dalle potenti famiglie nuragiche, come conferma Giustino (Epitoma Historiarum Philippicarum, XIII, 7), che dopo il resoconto della facile conquista della vicina Sicilia, racconta della spedizione cartaginese del generale Malco nel 540 a.C. in una Sardegna controllata dai locali: «...portata la guerra in Sardegna, furono gravemente sconfitti in una grande battaglia dove persero la maggior parte dell'esercito. Per questo furono esiliati il loro comandante, Malco, e i sopravvissuti...». La sconfitta determinò una sanguinosa rivoluzione interna a Cartagine, con la presa di potere da parte di Magone. Una seconda spedizione navale cartaginese al comando di Asdrubale e Amilcare, figli di Magone, fu altrettanto catastrofica, con la morte del primo e le grandi difficoltà del secondo di sottomettere le genti locali, riuscendoci solo per brevi periodi in alcuni approdi del sud Sardegna. Strabone conferma la sopravvivenza della cultura nuragica anche in epoca romana, raccontando che alcuni generali romani, non riuscendo a sottomettere i sardi in campo aperto, preferivano tendere loro degli agguati, approfittando del costume di quelle genti di raccogliersi, dopo grandi razzie, a celebrare feste tutti insieme.
Le raffigurazioni dei bronzetti nuragici testimoniano la presenza di sovrani che incarnavano il potere temporale e quello spirituale, riconoscibili attraverso il mantello sacerdotale, lo scettro,  (il lungo bastone da pastore), il pugna letto a elsa gammata, simbolo del potere nuragico e segno di comando.
Pur non essendo state trovate, a oggi, testimonianze scritte delle gesta del popolo nuragico, i locali hanno trasmesso ai posteri le loro vicende attraverso la realizzazione di eleganti sculture bronzee miniaturizzate che mostrano uomini, donne, animali, edifici, musicisti, oggetti dell’epoca e armi, un corpus di manufatti che racchiude un mondo straordinario avvolto da un alone di mistero.

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